“Chiunque farebbe fatica a immaginare che in un Paese la Pubblica Amministrazione possa rappresentare un ostacolo, invece di un sostegno alla crescita economica”. È forse il più amaro passaggio della nota diffusa dalla “CGIA” di Mestre e interamente dedicata alla “malaburocrazia”, quel diabolico meccanismo fatto di ritardi e complicazioni inutili che rendono la vita degli italiani un labirinto in cui entrare è facile e uscire per niente.
Una cronica e storica inefficienza che alle aziende costa ben 109 miliardi di euro all’anno, somma che per 57,2 miliardi si riferisce alle pastoie burocratiche, e i restanti 51,9 miliardi ai mancati pagamenti verso i propri fornitori.
“La PA, nonostante la sentenza di condanna inflittaci dalla Corte di Giustizia Europea nel gennaio del 2020, continua a onorare con difficoltà i debiti commerciali. Si pensi che l’anno scorso, i mancati pagamenti nei confronti delle imprese che hanno lavorato per lo Stato ammontavano a 10 miliardi di euro”.
Non tutto è da buttare secondo la Cgia, che ammette “punte di eccellenza pubblica da far invidia al resto d’Europa, ma mediamente la nostra PA funziona poco, male ed è un freno allo sviluppo. Si pensi che in virtù dell’RCI (Regional Competitiveness Index) europeo, le regioni italiane si posizionano tutte oltre 200simo posto in graduatoria su 268 territori monitorati”.
Un gap pesante che secondo un’altra ricerca europea diventa una giungla impenetrabile fatta di ostacoli e trabocchetti per 9 imprenditori su 10, record assoluto per i 19 paesi del vecchio continente monitorati dal report.
“Un coacervo di norme, regolamenti e disposizioni varie presenti in tutti i settori che continua a ingessare il Paese, rendendo la vita impossibile soprattutto a coloro che vogliono fare impresa. E mai come in questo momento, oltre a riformare la nostra Amministrazione statale sarebbe necessario semplificare il quadro normativo, riducendo il numero delle leggi attraverso l’abrogazione di quelle più datate, ricorrendo ai testi unici, evitando la sovrapposizione legislativa che su molte materie ha generato incomunicabilità, mancanza di trasparenza, incertezza dei tempi ed adempimenti sempre più onerosi. Siamo certi che tutto questo darebbe un forte impulso alla produttività del personale pubblico, spesso costretto a sottostare a procedure organizzative rigide e insensate che disincentivano la voglia di fare. È altresì necessario accelerare il processo di digitalizzazione di tutti i soggetti pubblici, imponendo il dialogo tra le loro banche dati per evitare la duplicazione delle richieste che periodicamente travolgono cittadini e imprenditori ogni qual volta si interfacciano con un ufficio pubblico. Anche in questo ultimo anno e mezzo di pandemia, l’iper produttività legislativa della macchina burocratica statale ha gettato nella confusione più completa famiglie e imprese.
La nostra Pa si è comportata in maniera bifronte: è stata irremovibile quando ha imposto le misure di limitazione alla mobilità e le chiusure delle attività economiche; per contro, si è trovata in affanno e spaventosamente impreparata quando ha dovuto riorganizzare i propri servizi per fronteggiare la diffusione del virus. Va stabilito per legge che un’impresa privata con un credito commerciale scaduto con una Pa possa compensarlo in misura secca, diretta e universale con i debiti fiscali e contributivi nei confronti del fisco e dell’Inps/Inail. Grazie a questo automatismo risolveremmo un problema che ci trasciniamo da almeno 15 anni. Ovviamente, questo meccanismo metterebbe in ‘conflitto’ le amministrazioni pubbliche tra loro, facendo finalmente emergere le realtà che intenzionalmente continuano a non saldare i fornitori entro i termini di legge”.
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