Nella foto che la ritrae accanto al marito appare piccola e minuta Nasrin Sotoudeh; ma non è certo la sua statura fisica a farne la gran donna che è.
L’avvocato iraniano che da anni si batte in prima linea contro il regime della sua terra, a difesa dei diritti umani, è stata ancora una volta punita con un nuovo arresto, dopo essere stata brutalmente picchiata, durante il funerale, a Teheran, di Armita Garavand, la 17enne uccisa a botte dalla polizia morale iraniana in metropolitana circa un mese fa, perché, come Masha Amini, non indossava correttamente il velo.
Nasrin non aveva avuto paura a definire la morte di Armita come “un omicidio di Stato”, ma ovviamente non è stato questo il motivo per cui è stata malmenata e poi tradotta in carcere, insieme ad altre 20 manifestanti. Ufficialmente, infatti, la sua colpa sarebbe stata quella di essersi presentata a sua volta in pubblico senza velo e di aver compiuto «attività contro la sicurezza mentale della società».
Un pretesto, evidentemente, dal momento che già in passato l’avvocato era più volte finita nel mirino del regime a causa della sua attività di difesa delle donne, fino ad essere processata e condannata, una prima volta nel 2011, a sei anni di reclusione (ma era stata poi rilasciata nel 2013 dopo uno sciopero della fame di 50 giorni); una seconda volta nel 2018, in un processo farsa svoltosi in sua assenza, che le aveva inflitto la fustigazione (148 frustate) e 33 anni e mezzo di carcere, dei quali deve scontarne almeno 12.
Dopo essere stata rinchiusa nella prigione di Evin, a Teheran, internazionalmente nota per le frequenti denunce di violazione dei diritti umani che avvengono attraverso pestaggi, molestie sessuali, diniego di cure mediche e varie modalità di tortura, Nasrin stava attualmente scontando la detenzione a casa, per motivi di salute.
Questo nuovo arresto l’ha ora portata nella prigione “da incubo” di Qarchak - un ex allevamento di pollame, poi trasformato in luogo di riabilitazione dei tossicodipendenti e infine in carcere femminile - dove, in stanze di dieci metri quadrati, chiamate “capanne”, vengono ammassati 12 posti letto e mancano le finestre.
E nonostante sia stata fissata una cauzione di 500 milioni di toman - circa 11mila euro – per la sua liberazione, la procura continua illecitamente a rifiutarne il pagamento.
Il marito di Nasrin – che invano chiede di avere un incontro in carcere con la moglie – riesce ad avere sue notizie solo per telefono.
Riferisce delle brutali condizioni in cui le prigioniere vengono tenute, delle percosse e delle torture. La moglie stessa è stata colpita con un taser e, come altre prigioniere, ha avuto degli attacchi di cuore.
«L’Iran è un posto dove nessun tipo di critica al governo è concessa – commenta l’uomo - Le carceri sono luoghi senza regole e anche gli adolescenti possono essere condannati a morte, in spregio a qualsiasi convenzione internazionale. E nessun giornale può raccontare quello che accade: l’unica tv è quella di Stato, che spesso manda in onda, prima dei processi, le false confessioni estorte ai prigionieri con la tortura». È il governo per primo, insomma, com’è ormai chiaro, a consentire che violazioni dei diritti umani, diffuse e sistematiche, avvengano per suo conto.
Ma quel che appare più biasimevole, se non addirittura grottesco è che, mentre il mondo occidentale ammira il coraggio di questa donna minuta e determinata, attribuendole persino meritati riconoscimenti (come il recentissimo “Civil Courage Prize” conferitole a New York la scorsa settimana e che lei, pur non avendolo potuto ritirare di persona a causa della sua condanna, ha comunque voluto dedicare al movimento “Donna, vita e libertà” - nato dopo l’uccisione di Masha Amini - e a tutte le donne che quotidianamente, sfidano l’hijab obbligatorio e contestano il patriarcato) lì, nella sua terra, viene viceversa accusata di «propaganda sovversiva» e di incoraggiare «la corruzione e la dissolutezza».
A conferma - se mai ce ne fosse bisogno - di quanto sia una questione di fortuna nascere nel lato giusto della Terra, dove cultura e ideologia non si traducono in fanatismo, e dunque in violenza e repressione. E di quanto ciò che, da una parte, è da sempre un diritto acquisito e rappresenta un’ovvietà, altrove è ancora un traguardo non raggiungo o una conquista pressoché impossibile, che tuttavia non corrode la tenacia con cui si battono tanti piccoli eroi, contro corrente.