Hanno voluto compiere insieme anche l’ultimo viaggio. E diversamente non poteva essere, giacché allo stesso modo - vicini e uniti - avevano condiviso ogni istante degli ultimi settant’anni della loro vita.
Quell’estremo e più difficile tratto di cammino l’hanno perciò affrontato tenendosi per mano, il gesto che, per tutta la loro comune esistenza, aveva significato complicità, sostegno reciproco, amore.
L’ex premier olandese Dries van Agt e sua moglie Eugenie se ne sono andati così, lo scorso 5 febbraio, a 93 anni, condividendo pure quell’ultima decisione: finire la vita tramite eutanasia di coppia.
Entrambi erano malati da tempo; lui non si era più ripreso dopo una emorragia cerebrale avuta nel 2019 ed anche la salute di lei era molto malferma.
In Olanda - primo paese al mondo ad aver regolamentato l’eutanasia e il suicidio assistito – la scelta dell’eutanasia di coppia è possibile ed è anzi una pratica che negli ultimi anni è andata aumentando. Le relative richieste sono analizzate seguendo criteri molto rigidi, incentrate tanto sulla volontà delle parti che sulle responsabilità del medico che deve autorizzare la loro richiesta. Quest’ultima deve rispondere a ben precisi requisiti: deve essere volontaria, consapevole, incondizionata e ben ponderata dal richiedente; deve essere motivata da una sofferenza insopportabile e senza alcuna speranza di miglioramento; il paziente dev’essere stato informato dal medico circa la sua situazione clinica e le prospettive che ne derivano, in conseguenza delle quali deve essersi formato il convincimento che l’eutanasia risulti la sola soluzione possibile; deve essere stato consultato almeno un altro medico indipendente, non coinvolto nella cura del paziente; l’eutanasia e l’assistenza al suicidio devono essere attuate scrupolosamente dal punto di vista medico.
Un’apposita commissione regionale controlla l’operato del medico “autorizzante” analizzando i casi segnalati che, peraltro, secondo la normativa, non devono corrispondere necessariamente a patologie fisiche e terminali, potendovi rientrare anche le malattie psichiche, compresa la depressione.
La disciplina della materia è dunque ampia e completa, e decisamente più avanzata rispetto a quanto avviene nel nostro Paese dove, in assenza di una specifica normativa – sulla cui elaborazione incidono notevolmente ragioni culturali ed etiche – il solo riferimento giuridico è costituito da un precedente giurisprudenziale (la sentenza Cappato/Dj Fabo), che ha ammesso l’assistenza al suicidio medicalizzato nel caso di patologia terminale o che renda il paziente dipendente da un “trattamento di sostegno vitale”.
L’ex primo ministro Dries van Agt si è affidato, con sua moglie, ad un percorso di fine vita, nonostante la sua formazione cattolica, dimostrando (coerentemente a quanto fatto anche in altri ambiti durante la sua vita e la sua carriera politica: dopo più di cinquant’anni di militanza nel Partito popolare cattolico – CDA: Appello Cristiano Democratico, in olandese: Christen-Democratisch Appèl-, di cui era stato anche segretario, aveva infatti rassegnato le dimissioni, non condividendo quella che considerava essere la politica spietata del partito nei confronti dei palestinesi. In un’accorata lettera aveva allora scritto: “Per me è incomprensibile che il CDA continui a distogliere lo sguardo dalle immense sofferenze inflitte al popolo palestinese, e inoltre non si preoccupi minimamente della nostra stessa Costituzione, che ci obbliga a rispettare l'ordine giuridico internazionale. È altrettanto incomprensibile che in fondo i nostri parlamentari votino contro l'ispirazione cristiana che il partito porta nella sua bandiera, e anche contro le sue stesse posizioni politiche, come la classificazione come illegale della colonizzazione della terra palestinese.” Aveva quindi fondato, nel 2009, l’organizzazione The Rights Forum – tuttora attiva- per difendere i diritti del popolo palestinese) un’indole progressista che, nello specifico, si è tradotta nella scelta di guardare oltre e al di là del possibile conflitto tra etica (umana o religiosa) e norme di legge, per dare priorità e centralità al rispetto della dignità di ciascun individuo, evidentemente compromessa quando la sua condizione di vita sia penosa e dolorosamente irreversibile.
Il suo gesto avrà senz’altro scandalizzato i cattolici più ortodossi, per cui la vita è un dono sacro che va conservato e tutelato qualunque sia la condizione fisica e psichica di un individuo; e, certamente, pone a noi tutti, cittadini di un Paese di tradizione cattolica, interrogativi non tanto sulla liceità o meno di una normativa che disciplini compiutamente il ricorso all’eutanasia o al suicidio assistito, quanto sulla sua moralità, che – come si accennava – è sostanzialmente il maggior freno che impedisce di costruire e ammettere scelte che per altri Paesi rappresentano invece baluardi di civiltà.
Non è un tema da poco, evidentemente, ma tanto meno è una questione sulla quale si può pensare di intervenire in maniera disorganica e frammentaria, basandosi sulla particolarità del concreto e singolo caso, com’è finora accaduto.
Occorre, viceversa, che la materia sia trattata tenendo ben presenti due delle caratteristiche fondamentali prescritte per ogni norma giuridica: la generalità e l’astrattezza. E per generalità deve intendersi la necessità che esse si rivolgano a tutti indistintamente, condizione che rischia d’essere invece vanificata se, nell’ambito del progetto dell’autonomia differenziata il cui iter si sta portando a termine in questi giorni, passerà alle singole Regioni – insieme alla competenza legislativa in materia sanitaria - anche il compito di definire il suicidio assistito.
Potrebbe infatti accadere che, qualora tutte legiferassero su tale argomento (qualcuna infatti potrebbe persino non farlo) e lo facessero in maniera differente, uno stesso diritto verrebbe ad avere garanzie e tutele non uniformi su tutto il territorio nazionale.
Un’attenta riflessione su questa eventualità si rende evidentemente necessaria.