2 luglio 2021

Il colosso dell’abbigliamento H&M crolla in Cina

Nel primo trimestre dell’anno le vendite nel Paese asiatico sono scese del 23%: colpa del boicottaggio scattato quando il marchio svedese si è detto preoccupato per la sfruttamento degli iuguri nello Xinjiang

Il colosso svedese dell’abbigliamento “H&M” è vittima di un crollo verticale delle vendite in tutta la Cina, dopo essere diventato bersaglio di una forte campagna di boicottaggio. H&M era tra i diversi marchi che hanno sollevato preoccupazioni su presunti abusi dei diritti umani contro i musulmani uiguri nella provincia cinese dello Xinjiang. Dichiarazioni che non sono piaciute a Pechino, e che come prima conseguenza hanno visto diverse celebrità legate al marchio come testimonial scegliere di recidere i contratti, seguite subito dopo da numerose piattaforme di e-commerce che hanno annunciato l’intenzione di non trattare più capi a marchio H&M.

Un duro colpo, visto che lo scorso anno la Cina ha rappresentato circa il 5% delle vendite del gruppo retail ed è tutt’ora uno dei suoi maggiori fornitori: rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, nel secondo trimestre del 2021 le vendite in Cina sono scese del 23%. Un calo che tuttavia non ha intaccato il business globale del gruppo svedese, tornato in utile con l’attenuarsi dell’impatto della pandemia.
Insieme a H&M, diversi marchi occidentali come “Nike”, “Burberry”, “Adidsa” e “New Balance” hanno subito lo stesso forte contraccolpo da parte degli acquirenti cinesi dopo che le aziende hanno espresso preoccupazione per il presunto uso del lavoro forzato uiguro nella produzione del cotone. Lo scorso marzo, il brand H&M è stato rimosso dalla popolare piattaforma cinese di vendita al dettaglio online “Tmall” e dagli app store. L’azienda ha replicato con l’intenzione di voler riconquistare la fiducia della clientela e dei partner cinesi, assicurando che il proprio impegno nel Paese rimane forte.

La settimana scorsa, i vertici della Nike hanno dato vita ad una campagna di difesa del gigante dell’abbigliamento sportivo americano: l’amministratore delegato John Donahoe ha detto “Nike è un marchio della Cina e per la Cina”.
Lo Xinjiang, la regione più grande del Paese, produce circa un quinto del cotone mondiale: si tratta di una regione in teoria autonoma, che realtà affronta restrizioni aumentate negli ultimi anni. Milioni di uiguri cinesi, una minoranza musulmana che si considera culturalmente ed etnicamente vicina alle nazioni dell’Asia centrale, vivono nello Xinjiang: negli ultimi decenni, la migrazione di massa dei cinesi Han (la maggioranza etnica della Cina) nello Xinjiang ha alimentato le tensioni con gli uiguri, sfociate anche in violenze.

Una situazione che ha portato ad una massiccia repressione e ad un programma di sorveglianza statale che secondo i critici viola i diritti umani degli uiguri. Pechino replica che si tratta di misure necessarie per combattere il separatismo e il terrorismo. Intanto circolano testimonianze di uiguri detenuti in campi in cui sono emerse numerose accuse di torture, lavori forzati e abusi sessuali. La Cina continua a negare, definendo i campi delle semplici strutture di “rieducazione”.
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