14 giugno 2024

Il deserto italiano: ogni ora chiudono 4 negozi

Lo dicono numeri e cifre di un vero allarme sociale lanciato da “Confesercenti”: nel giro di un decennio, 92mila attività sono scomparse, mentre nello stesso periodo l’e-commerce passava da 75 a 734 milioni di consegne

Autore: Germano Longo
Ogni ora, in Italia, quattro negozi chiudono la serranda per sempre. Non è la riproposizione in chiave nostrana della celebre storia sul leone e la gazzella in Africa, ma un serissimo allarme lanciato a gran voce da “Confesercenti”.

Nei primi tre mesi di quest’anno, circa 10mila esercizi commerciali sono scomparsi per sempre, strozzati da una gang di killer altamente specializzati: tasse, burocrazia, inflazione e crisi.

Vista ancora più da vicino, la situazione si fa davvero preoccupante: fra gennaio e marzo di quest’anno, il comparto della vendita al dettaglio ha accusato la scomparsa di 9.828 imprese spesso familiari, con un aumento di mille negozi chiusi rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Attività che difficilmente verranno sostituite o rilevate, visto che pur rimanendo focalizzati sullo stesso periodo di quest’anno, le nuove aperture su tutto il territorio nazionale sono state poco più di 7mila, che significa meno del doppio di dieci anni fa.

Un processo graduale e inesorabile di desertificazione che colpisce ovunque, ma con maggiore incidenza nelle zone dove il tessuto sociale risulta più sviluppato. Tra le aree desertificate più colpite svetta la Campania, dove nel primo trimestre del 2024 ben 1.225 attività hanno cessato di esistere. Ma non va molto meglio in Lombardia (-1.154) e nel Lazio, dove il conto finale parla di 1.063 negozi in meno.

Per contro, una scomparsa che combacia perfettamente con altri dati, questa volta riferiti al commercio online. Una crescita diventata inarrestabile nel giro di appena 10 anni in cui le consegne sono passate dai 75milioni del 2013 ai 734 del 2024. A guidare la classifica la Lombardia, destinataria di 124 milioni di pacchi, seguita a distanza dal Lazio (71 milioni) e dalla Campania (69,6).

Ma c’è di peggio, assicura l’associazione di categoria, perché secondo le previsioni l’e-commerce è destinato a raggiungere il +14 nel solo 2024, con 734 milioni di spedizioni che significano 84mila consegne ogni ora, ma soprattutto si traducono in un altro nodo al cappio delle piccole attività commerciali.

Un problema che, con effetto domino, non solo si ripercuote sulla vita dei cittadini, sempre più costretti a rivolgersi alla grande distribuzione per via della scomparsa di 92mila piccoli negozi di quartiere, ma che genera un’inarrestabile emorragia per il Fisco italiano che fra tasse, tributi Tari e Irpef dal 2014 ha perso per strada più di 5,2 miliardi di euro.

Proprio i negozi di quartiere, o di vicinato, un tempo fondamentali punti di riferimento del tessuto sociale italiano, secondo i calcoli di Confesercenti dal 2012 ad oggi sono calati drasticamente del -14,3%. Alla metà del 2024, tentando di stilare una media italiana, resistono appena 12 imprese ogni mille abitanti.

“Le piattaforme dell’online sono una fantastica riproduzione delle vetrine commerciali, dove si può trovare e comprare di tutto, ed è un’opportunità che sempre più persone utilizzano per fare le proprie scelte di acquisto - interviene Patrizia De Luise, presidente nazionale di Confesercenti - un cambiamento delle abitudini di consumo che sta mutando profondamente anche la morfologia delle nostre città e non solo. Ed è proprio su questo “non solo” - cioè sugli impatti creati su ricchezza, occupazione e fisco locali - che vogliamo accendere un faro. Non per dare giudizi, ma per analizzare e riflettere sugli effetti collaterali “di sistema” dello spostamento degli acquisti dalle strade alla rete.

Le imprese sul territorio, infatti, svolgono un ruolo cruciale non solo nell’economia, ma anche nel tessuto sociale: creano ricchezza e occupazione, permettono ai cittadini di accedere facilmente ai servizi e contribuiscono alle finanze locali attraverso il pagamento di tasse e imposte. In questo contesto, emerge la necessità impellente di sviluppare una nuova politica europea che possa fornire strumenti adeguati e sostegno alle imprese del territorio, mirata a creare un ambiente più equo e competitivo, garantendo pari condizioni fiscali e il rispetto delle norme poste a tutela della concorrenza.

La politica, nazionale ed europea, non può sottrarsi al dovere di garantire corretta e leale concorrenza e compensare gli enormi squilibri con interventi di sostegno a favore delle MPMI e specificamente delle imprese del terziario di mercato e del retail di prossimità, squilibri che continueranno nonostante la minimum tax del 2024”.
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