È già successo molte altre volte, ma questa è diversa.
Fa più rumore; e non soltanto perché capita vicino a Natale, contrastando quell’atmosfera che si vorrebbe di serenità e gioia a tutti i costi, ma perché la vittima è un ragazzo di soli 19 anni e, dunque, è ancora più inaccettabile.
Mostafa era un ragazzo egiziano; 20 anni li avrebbe compiuti il mese prossimo, se solo il freddo non lo avesse ucciso prima, in una notte di festa, a inizio dicembre.
Era partito dal suo Paese nel 2018, dopo aver interrotto i suoi studi, e, seguendo la rotta balcanica, era infine giunto in Francia, dove per qualche tempo aveva lavorato come imbianchino.
Il suo sogno era però quello di continuare a studiare, conquistare una buona posizione e poter dunque provvedere degnamente ai bisogni della sua famiglia, cosa che peraltro già faceva con ciò che riusciva a guadagnare: voleva intanto aiutare sua sorella che doveva sposarsi.
Aveva perciò deciso di trasferirsi in Italia, a Bolzano, dove aveva saputo che avrebbe potuto chiedere asilo e ottenere un permesso di soggiorno. Vi era arrivato la sera del 7 dicembre, insieme ad un suo amico di qualche anno più grande.
Fa freddo lassù in inverno, ma quella deliziosa cittadina - seconda Provincia d’Italia per qualità di vita - che per tutto il mese pullula di turisti attratti dalla neve e ancor più dai mercatini natalizi, non dispone invece di sufficienti strutture ricettizie per accogliere i tanti esuli che vi passano.
Perciò Mostafà ed il suo amico si erano presentati all’infopoint nei pressi della stazione, che li aveva indirizzati alla mensa della Charitas. Lì, però, avevano ricevuto solo un pasto caldo; di posto per dormire invece non ce n’era ed erano stati inseriti nella lista d’attesa per un posto all’Emergenza freddo presso il centro di accoglienza dei senzatetto allestito nella struttura dell’ex Alimarket.
Di certo non immaginava, Mostafà, che quel posto non gli sarebbe più servito, che in quel giaciglio di cartoni improvvisato sotto ad un cavalcavia si sarebbe addormentato per sempre.
Ma come si fa a morire di freddo a 19 anni? Come si può accettare che ciò accada? Che in una delle città più vivibili d’Italia non si sia in grado di dare un posto caldo dove passare la notte a un ragazzino in cerca di futuro? Ce l’hanno un futuro queste persone o continuano ad essere invisibili, numeri, statistiche anziché esseri umani?
È assurdo che ogni anno si debba sentir parlare di “emergenza freddo” come se fosse una sorpresa, un evento inaspettato al quale non si è preparati. L’inverno fa parte del ciclo delle stagioni, ed arriva impietoso ogni anno col suo carico di gelo: com’è possibile che non si agisca per tempo per consentire ai senzatetto di affrontarlo, che non si incrementino per tempo i posti letto e si debba puntualmente ricorrere all’espediente di trasformare scuole e palestre in dormitori temporanei?
È proprio questa “temporaneità” il male di sempre, la precarietà con cui si affrontano e gestiscono situazioni per cui l’emergenza è ampiamente nota e annunciata, mai improvvisa.
Non si può pensare di risolvere con l’improvvisazione un problema reiterato, una ricorrenza annuale ormai strutturata e incancrenita, a meno che non si voglia legittimare il dubbio che la mancanza di interventi tempestivi risponda ad una ben precisa volontà – o, meglio, ad una non volontà - cui sono sottesi ignobili motivi che sanno di discrimine, paura dell’altro, razzismo.
Senza arrivare a tanto (si spera infondato) sospetto, ciò che è innegabile è tuttavia la predita di una coscienza collettiva e, con essa, della consapevolezza dell’esistenza di diritti sociali – alla casa, al lavoro, all’istruzione, all’assistenza sanitaria – che dovrebbero essere garantiti ad ogni cittadino, in uno con altrettanti diritti umani e fondamentali che prescindono invece dal possesso di una specifica cittadinanza. Tra questi, il diritto a sostegno e solidarietà.
Garantire tali “fondamenti” è un obbligo morale prima ancora che costituzionale, il presupposto per indirizzare l’intera società, in ogni suo ambito, verso il benessere.
Di fronte alla morte per freddo di una ragazzo di 19 anni la responsabilità allora non può che essere di tutti: delle istituzioni senz’altro, ma anche di ciascuno di noi che il freddo l’abbiamo nel cuore, e restiamo aggrappati alla finitezza del nostro egoismo e ciechi ai bisogni di chi ci passa accanto, destinato a rimanere invisibile fintanto che, paradossalmente, non sopraggiunga la morte a rendere assordante la voce della sua ignorata disperazione.