Ha questo titolo uno dei romanzi di Andrea Camilleri che è parte della serie dedicata alle indagini del commissario Montalbano. Vi si racconta, tra gli altri, l’episodio in cui il reiterato furto di merendine ai danni di alcuni alunni di una scuola elementare porta a scoprirne il colpevole in un bambino tunisino - un piccolo migrante fuggiasco rimasto orfano di madre – di cui il commissario e la sua compagna da quel momento in poi decideranno di prendersi cura.
Mi è venuto facile l’accostamento a questo racconto quando ho letto, giorni fa, la vicenda del “ladro di brioches” di Pistoia.
La storia, riportata da diversi quotidiani, è quella accaduta presso un bar della città toscana, davanti al cui ingresso ogni mattina, all’alba, un pasticcere lascia la fornitura quotidiana di brioches, utilizzando un contenitore legato con una catena e chiuso con un lucchetto che solo più tardi, all’apertura dell’esercizio, viene aperto dal titolare.
Qualche mattina fa, però, uno dei vassoi contenenti le brioches è rimasto sopra il contenitore anziché esservi collocato all’interno e, così, qualcuno se l’è portato via.
Fin qui nulla di strano, se vogliamo: se, come si suol dire, “l’occasione fa l’uomo ladro” quella era evidentemente proprio ghiotta (nel vero senso del termine!), sicché, portare via il vassoio incustodito dev’essere stato un gioco da ragazzi.
Senonché, altra è la parte straordinaria e - al tempo stesso - drammatica della vicenda: qualche giorno dopo, nello stesso contenitore-custodia, il titolare del bar ha trovato una banconota da dieci euro ed un biglietto su cui era scritto “Buon giorno, mi scusi. L’altra mattina avevo fame e non avevo soldi. Grazie”. Un gesto che l’ha stupito, essendosi ormai rassegnato all’idea di un furto “consumato” e pure già digerito.
L’ha apprezzato così tanto che ha prontamente intrecciato una catena di solidarietà per cui il laboratorio di pasticceria suo fornitore ha lanciato un appello all’autore della sottrazione, invitandolo a presentarsi per un colloquio di lavoro.
Quando pensiamo ad un furto, noi tutti siamo perlopiù portati a considerare quelle vicende in cui qualcosa, indipendentemente dal suo valore oggettivo, venga sottratto clandestinamente a chi ne è proprietario “al fine di trarne profitto per sé o per altri”, secondo la formula indicata dall’art. 624 del c.p..
Riteniamo, quindi, che i furti condannabili anche secondo la nostra visione - oltre che secondo la norma – debbano essere quelli compiuti con violenza o danneggiamento alle cose, con destrezza o da chi si introduca abusivamente nelle abitazioni private. Oltre al danno, in tali casi, a pesare ulteriormente sono anche il trauma di sentirsi violati nella propria intimità domestica e il fastidio generato dall’idea che mani estranee abbiano potuto frugare tra le nostre cose.
Ma che dire quando sia la necessità a spingere a commettere atti che altrimenti gli stessi autori condannerebbero?
Lo stesso codice penale, del resto, con il prevedere la punibilità solo su querela dell’offeso, mitiga, in un certo senso, il peso del reato di furto quando il fatto sia commesso “su cose di tenue valore, per provvedere a un grave ed urgente bisogno” (art. 626 c.p. comma 1 n. 2)), sebbene vada precisato che la gravità e l’urgenza del bisogno si devono riferire a beni primari - quali medicine, cibo, indumenti - indispensabili per il soggetto o per altri, non essendo sufficienti delle generiche esigenze di povertà o di indigenza.
Più spesso, però, di fronte al bisogno, alla miseria ed alla fame la coscienza finisce col confliggere con le norme, col concedere condoni e sconti, rispondendo ad un appello d’umanità che a volte si fa più urgente e stringente d’un precetto di legge.
È successo anche altre volte, in altri contesti e situazioni; è successo a Carola Rackete e a Mimmo Lucano.
Ma quelle erano vicende di ben altro peso, in cui il coinvolgimento mediatico e politico esercitavano una pressione tale da non consentire un chiaro e libero discernimento né un quanto mai opportuno esame di coscienza.
V’è di più: per quanto sia grave e marcata la necessità, ci sono volte in cui ad essa comunque non si sacrifica la dignità, costi quel che costi.
Non sapremo mai quanto impegno e quale ingegno ci siano voluti a chi ha sottratto un vassoio di brioches davanti ad un bar per procurarsi quei dieci euro con cui ha voluto ripagare il suo debito; ma si è trattato indubbiamente di una grande lezione di rispetto, valida ad infrangere qualche luogo comune, di quelli che tendono a calzare i panni di balordo, ladro e poco di buono a chi una qualunque forma di orfananza – di terra, di lavoro o di legami affettivi – ha collocato nella schiera dei reietti.
Il ladro di merendine di Camilleri agiva per fame; e sempre per fame a Pistoia qualcuno ha rubato delle brioches davanti a un bar. La differenza è che, stavolta, non si tratta d’una finzione.