Dopo lunghi mesi in cui Kim Jong-un assicurava che la pandemia non era riuscita a varcare i confini della Corea del Nord, malgrado i forti dubbi della comunità scientifica internazionale, il piccolo e risoluto leader è tornato a sbattere i pugni nel corso di una riunione del Politburo.
Kim avrebbe accusato diversi dirigenti di “pigrizia” e di aver completamente disatteso “le istruzioni sanitarie provocando una grave crisi” per il popolo. Una riunione dai toni drammatici, che secondo l’agenzia di stampa locale “Kcna” si sarebbe conclusa con l’allontanamento di funzionari e dirigenti statali e l’annuncio di una profonda “rivoluzione nell’amministrazione del personale”.
Non è chiaro che tipo di incidente abbia scatenato le ire del maresciallo – fra le ipotesi un focolaio di contagi - che ha citato “conseguenze economiche disastrose” dovute alla chiusura dei confini, scattata nel gennaio dello scorso anno anche nei confronti della vicina Cina, unica economia con cui il regime di Pyongyang continuava ad avere scambi commerciali necessari per garantire almeno i prodotti di prima necessità alla popolazione.
Secondo le ipotesi degli analisti internazionali, potrebbe trattarsi della prima fase di un piano che culminerebbe con la richiesta di aiuto alle agenzie umanitarie internazionali, ma al momento si tratta di illazioni, le stesse che circolano da tempo sulla salute di Kim, di recente apparso dimagrito e accompagnato da servizi giornalisti che raccontavano la forte preoccupazione dei nordcoreani verso il loro leader.
Ma l’indizio che qualcosa di grave stia avvenendo nei confini nordcoreani lo fornisce anche un dettaglio che non è passato inosservato: con una mossa assai inusuale per il regime, è la seconda volta nel giro di pochi giorni che Kim sceglie di fare cenni alle difficoltà in cui verserebbe il Paese.
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