9 dicembre 2023
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9 dicembre 2023

Il popolo dei sonnambuli

Autore: Ester Annetta
Quella restituita dal rapporto Censis di quest’anno è una fotografia niente affatto rassicurante. Delinea un quadro di estrema fragilità, di un’Italia indebolita e insicura, in cui giocano un ruolo importante anche pregiudizi e disinformazione.

Il paradosso maggiore è che, a fronte dei tanto lamentati digiuno affettivo, carenza di educazione ai sentimenti, anestesia emotiva contestati perlopiù alle nuove generazioni, si registra una più generale “ipertrofia emotiva” verso temi che solo apparentemente – a quanto pare – non interessano gli italiani. Difatti il Rapporto definisce proprio così quella percezione di continua e diffusa emergenza che, ripiegando su sé stessa, impedisce poi di individuare ciò che lo sia realmente. In questo “mercato dell’emotività” in cui la società italiana è inabissata, dunque, “le argomentazioni ragionevoli possono essere capovolte da continue scosse emozionali” Trovano perciò terreno fertile – scrive il Rapporto - paure amplificate, fughe millenaristiche, spasmi apocalittici, l'improbabile e il verosimile.

L'84% degli italiani è impaurito dal clima 'impazzito'; il 73,4% teme che, nei prossimi anni, i problemi strutturali irrisolti del nostro Paese determineranno una crisi economica e sociale molto grave, con povertà diffusa e violenza; il 73% è anche convinto che gli sconvolgimenti globali intensificheranno i flussi migratori al punto da non renderli più gestibili; il 53,1% teme che il colossale debito pubblico provocherà il collasso finanziario dello Stato; il 59,9% ha paura che scoppierà un conflitto mondiale che coinvolgerà il nostro Paese. Ancora: il 59,2% ritiene che l’Italia già attualmente non sia in grado di proteggersi da attacchi terroristici di stampo jihadista, mentre il 49,9% è convinto che essa non sarebbe capace di difendersi militarmente se aggredita da un Paese nemico.

Anche il welfare del futuro è tema di grandi preoccupazioni: il 73,8% degli italiani teme che negli anni a venire non ci sarà un numero sufficiente di lavoratori per pagare le pensioni e il 69,2% pensa che non tutti potranno curarsi, perché la sanità pubblica non riuscirà a garantire prestazioni adeguate.

Eppure, nonostante tali timori, quello che il Rapporto rileva è la paralisi piuttosto che la mobilitazione di risorse per la ricerca di soluzioni efficaci.

Di fronte a questi ipotetici scenari, la società italiana sembra affetta da “sonnambulismo”, “precipitata in un sonno profondo del calcolo raziocinante che servirebbe per affrontare dinamiche strutturali dagli esiti funesti” e “cieca davanti ai presagi”.

Alcuni processi economici e sociali largamente prevedibili nei loro effetti sembrano rimossi dall’agenda collettiva del Paese o sono comunque sottovalutati. Benché il loro impatto sarà dirompente per la tenuta del sistema, “l’insipienza di fronte ai cupi presagi si traduce in una colpevole irresolutezza.”

Da ciò, ecco formularsi previsioni poco rassicuranti: nel 2050 l’Italia avrà perso complessivamente 4,5 milioni di residenti. La flessione demografica sarà il risultato di una diminuzione di 9,1 milioni di persone con meno di 65 anni e di un contestuale aumento di 4,6 milioni di persone con 65 anni e oltre. Ci saranno quasi 8 milioni di persone in età attiva in meno e, dunque, una scarsità di lavoratori che avrà un impatto inevitabile sul sistema produttivo e sulla capacità di generare valore.

Ma, secondo il Rapporto, il denunciato sonnambulismo non è imputabile soltanto alle classi dirigenti, ma è un fenomeno diffuso nella «maggioranza silenziosa» degli italiani, che accusano un disarmo identitario e politico tale da convincerli (il 56,0%, giovani perlopiù) di contare poco nella società. Un profondo senso di impotenza li rende perciò insicuri (il 60,8%, anche qui giovani perlopiù) a causa dei tanti rischi inattesi, delusi dalla globalizzazione (che per il 69,3% ha portato più danni che benefici) e rassegnati all’idea che l’Italia sia irrimediabilmente in declino.

Nelle considerazioni generali, il Rapporto constata come sia ridotto, rispetto al passato, il vigore che guidava l’azione nell’interesse del Paese in nome del vantaggio collettivo: oggi “il vigore sociale è frammentato in piccole scie a bassa potenza a cui risponde una soluzione politica spezzettata in micro-interventi e nella protezione di microcosmi privati di personali pretese; una direzione chiara verso la crescita economica, ma pochi traguardi strategici in un dibattito pubblico scarico di idee e di parole; il rovesciamento di senso di alcune grandi invarianti collettive e di alcuni potenti processi sociali.”

D’altro canto, il Rapporto evidenzia come pure a livello individuale sia ora più spiccata la tendenza ad una sorta di ripiegamento su sé stessi: “è il tempo dei desideri minori: non più uno stile di vita all’insegna della corsa irrefrenabile verso maggiori consumi per conquistarsi l’agiatezza, ma una più pacata ricerca di piaceri consolatori per garantirsi uno spicchio di benessere. Per l’87,3% degli occupati mettere il lavoro al centro della vita è un errore. Non è il rifiuto del lavoro in sé, ma un suo declassamento nella gerarchia dei valori esistenziali. Il 62,1% degli italiani avverte perciò il desiderio quotidiano di momenti da dedicare a sé stessi ed il 94,7% rivaluta la felicità derivante dalle piccole cose di ogni giorno: il tempo libero, gli hobby, le passioni personali. La gestione dello stress e la cura delle relazioni vengono considerati dall’81,0% degli italiani, perni del benessere psicofisico individuale.

Insomma, la sensazione trasmessa dal Rapporto - anche grazie all’uso di un linguaggio tanto più efficace quanto più si discosta dal “tecnico” per diventare “umano” – è che quello di una sorta di rassegnazione generale che pervade l’intera società - dai più anziani (che potrebbe essere accettabile) ai più giovani - restituendo un quadro di incertezza, arrendevolezza e insoddisfazione che non si prestano affatto a essere presupposti idonei per un futuro e necessario risveglio.
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