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Il nodo

Autore: Ester Annetta
Da due anni aspettavo di vederlo; era il dramma teatrale che avevo in calendario proprio in quel febbraio in cui il dramma reale – quello del Covid – è iniziato. Tutte le repliche allora erano state dapprima rinviate, infine cancellate. Come piccolo gesto di solidarietà ad un settore (quello dello spettacolo) che degli effetti collaterali della pandemia avrebbe avuto i maggiori risentimenti, avevo donato l’equivalente del prezzo dei biglietti al teatro, rinunciando al rimborso.

Sono dunque tornata al nuovo appuntamento con “Il nodo” – il testo scritto dalla giovane drammaturga americana Johnna Adams e interpretato da Ambra Angiolini e Arianna Scommegna - forse più per una sorta di scaramanzia che non per autentico interesse, giacché avevo ormai persino dimenticato quale fosse il tema portato in scena.

Ed è stata una bella sorpresa, che non solo ha rivelato il maturato talento artistico di un’attrice che, dai tempi di “Non è la Rai”, di strada ne ha fatta parecchia, ma ha avuto anche il pregio di trattare con una perfetta alchimia tra durezza, intensità e profondità argomenti di grande attualità e spessore.

Il sipario si apre su un’aula scolastica: tre file di banchi sono disposte su un piano convesso, una sorta di collinetta che occupa tutta la scena. E’ la prima metafora visiva di quella realtà che misura la scuola (ma il mondo in generale) come il luogo in cui tutte le difficoltà – quelle relazionali soprattutto - possono essere amplificate, trasformandosi in salite e discese.

In sottofondo, ma ben udibile, il ticchettio di un orologio scandisce l’inesorabile avanzare del tempo, riempiendo pause in verità già cariche di tensione.

Due donne – una madre, che è sempre mancata ai colloqui e quindi nemmeno quella volta è più attesa, ed un’insegnante, che invece aspetta impaziente una telefonata che non arriva – si scontrano sin dalle prime battute. Dal contrasto, quell’incontro evolve gradualmente verso il confronto, aspro a sua volta, in cui a turno ognuna delle due figure pare dominare sull’altra.

La madre è lì per capire le ragioni per cui suo figlio, che qualche giorno prima era tornato a casa pieno di lividi, sia stato sospeso.

Parrebbe esserci una vicinanza a “Le Dieu du carnage” di Yasmina Reza, e, invece, mentre il duello verbale procede, mandando in corto circuito l’equilibrio di quelle due donne forti e risolute, si dispiegano poco alla volta altri contorni da cui, come in un puzzle in cui ogni tessera aggiunta fornisce una nuova visione d’insieme, emerge la tragica storia di Gidion.

Il figlio e l’alunno: Gidion, il nodo gordiano che stringe il reciproco e soffocante senso di colpa delle due donne, cui spetta di scegliere se districarlo o tagliarlo, nella consapevolezza che entrambe le scelte saranno dolorose.

Gidion è morto: è questa la terribile realtà che infine si rivela. Si è suicidato, sparandosi nel garage di casa.

E sua madre deve ora sapere chi era quel ragazzino di prima media che viveva una vita che, dalla sua distanza, con la sua disattenzione, lei non vedeva. Vuole conoscerlo attraverso la sua insegnante, che forse lo odiava come lui la odiava; attraverso i suoi compagni, che forse lo bullizzavano o che lui bullizzava; attraverso Socrate, l’amica che lo difendeva da Jack, il compagno che Gidion amava e da cui era disprezzato.

Adolescenza inquieta, bullismo, omosessualità: sono tra le piaghe di una società che nutre di dolore anche i più giovani. E sono quelle su cui aveva voluto richiamare l’attenzione Gidion, scrivendo il tema a causa del quale è stato sospeso: la storia di una guerra, violenta eppure poetica, il cui significato era rimasto inafferrabile anche alla sua insegnante, che comprende solo dopo averlo letto ancora una volta alla madre e aver posto mente all’interpretazione che lei riesce a darne.

Ecco allora compiersi la scelta: il nodo non si può sciogliere, non si può trovare una giustificazione al fallimento d’una madre assente e di un’insegnante lontana dal suo ruolo educativo; bisogna dunque tagliarlo e perciò ammettere le proprie colpe e accettare le proprie responsabilità.

Ed è dopo questa presa di coscienza che la madre, in un estremo impeto di rabbia, dolore e disperazione, rovescia tutti i banchi e corre via, seguita poco dopo dall’insegnante, che invece esce a passi lenti e capo chino.

Al centro della scena, resta il banco di Gidion, solo e vuoto, come le tante giovani e tragiche esistenze che si fatica a vedere.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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