22 febbraio 2025

La grande fuga dei giovani: 100mila in tre anni

I numeri di una ricerca accendono nuovamente i riflettori su un problema che tutti conoscono, ma che nessuno sembra intenzionato a cambiare: i giovani preferiscono emigrare, e per l’Italia significa perdere 134 miliardi in capitale umano

Autore: Germano Longo
“Gli italiani si dividono in due categorie: gli emigranti e gli immigrati” è la sintesi efficace di Mirko Badiale, scrittore e aforista. Ha ragione, dimentica solo di fare un accenno a quelli che restano, con sempre più anziani a controllare i cantieri e sempre meno bambini a riempire le culle.

Il problema di fondo è sempre lo stesso, ciclico e di difficile soluzione, specie per un Paese come il nostro in cui sembra che tutto cambi per non cambiare mai, come diceva Il Gattopardo: il numero di giovani che decidono di lasciare l’Italia continua a crescere. Così come cresce la cifra di coloro che decidono di rinunciare alla cittadinanza italiana per prendere quella del Paese in cui hanno trovato il capitolato minimo per un’esistenza decente: un lavoro, uno stipendio e una qualità della vita accettabile.

Come dargli torto? Molti fanno le valigie perché stanchi di provarci, scontrandosi con certe architetture tipicamente italiane che regolano alcuni settori, o stufi marci di sentirsi proporre stipendi da fame in cui annegare anni di studi che promettevano bene finché erano solo teoria.

Non è che chiedessero molto di più, i 100mila giovani che, secondo una recente ricerca della Fondazione Nord Est, hanno dato l’addio all’Italia nel biennio 2022-2023. Se il 28% ha detto addio per necessità, il 23% lo ha fatto per scelta. Seguono quelli che cercavano migliori opportunità di lavoro (26,2%) e chi sognava una qualità della vita superiore (23,3%). Comunque sia andata, gente che spesso ha infilato in valigia dosi massicce di tristezza e rammarico, perché andarsene significa condannarsi all’idea di essere lontani dalla famiglia, perdere amicizie storiche e rinunciare ai piaceri della tavola, quelli che solo noi italiani sappiamo quanto possano diventare importanti superando i confini.

E vederli partire significa depotenziare questo Paese, visto che ad andarsene non sono soltanto i laureati, il 40% del totale, potenzialmente la classe dirigente del futuro, ma anche operai, tecnici, artigiani e gente che a volte non ha neanche un titolo di studio superiore, ma in compenso ha messo da parte un bagaglio tale di esperienze e conoscenze sufficienti per essere accolti a braccia aperte ovunque.

E in fondo stupisce che le regioni in cui si concentra l’esodo siano quelle del Nord, la zona più produttiva del Paese, quella che sulla carta è alla ricerca continua di talenti e forze fresche. Sono 180mila, secondo la ricerca, i giovani settentrionali che hanno detto addio all’Italia: 80mila dal Nord Est e il resto dal Nord Ovest. A rimetterci di più è la Lombardia, che nel 2023 ha salutato 5.760 giovani, toccando una quota di addii pari a 63.639 giovani in tredici anni. Non va meglio in Veneto, con 3.759 partenze nello stesso anno su 34.896 totali, e buona ultima arriva la Sicilia, che ha perso 14.500 giovani di buone speranze.

L’Italia, in compenso, a parte le vacanze estive, resta poco attrattiva per gli stranieri, come dimostrato da un giovane che chiede di vivere qui contro una media di 8,5 giovani italiani che se ne vanno.

Non basta ancora, perché, come accennato, chi va via difficilmente torna indietro quando finalmente riesce ad assaporare scampoli di vita: a fronte di 172mila persone che hanno fatto marcia indietro rientrando in Italia, 550mila hanno chiesto di essere cancellati dai registri dei residenti per diventare a tutti gli effetti inglesi, francesi, tedeschi, svizzeri, americani o australiani. Come se sparissero di colpo gli abitanti dell’intera Basilicata, per avere un’idea dell’impatto sociale.

Un’emorragia che ha un costo preciso, quantificabile in 134 miliardi di euro persi in 13 anni, di cui 8,4 andati in fumo nel biennio di riferimento 2022-2023.

Di tutto questo se ne parla eccome, si discute riempiendo trasmissioni e speciali con esperti e opinionisti, ma manca sempre all’appello qualche passaggio che sia in grado di invertire la rotta. E dire che gli esempi europei di Paesi che fanno di tutto per riportare a casa cervelli e talenti non mancano, ma quello che fanno gli altri all’Italia non interessa. Più o meno un anno fa, una norma nata per incentivare il ritorno degli expat ha cambiato improvvisamente idea, rendendo molto meno conveniente rientrare.
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