25 luglio 2020

L’ultimo romanzo di Ozpetek è leggero “come un respiro”

Autore: Redazione Fiscal Focus
È un meraviglioso viaggio nei sentimenti umani quello che Ferzan Ozpetek offre con il suo ultimo romanzo, “Come un respiro”, edito da Mondadori: un’opera che, al di là della sua struttura apparentemente semplice e del suo linguaggio essenziale, raggiunge elevati picchi di intensità.

In una tranquilla domenica di giugno, mentre tre coppie di amici stanno per pranzare insieme in un appartamento al Testaccio, a Roma, giunge alla porta una sconosciuta. Cinquant’anni prima ha vissuto in quella casa con sua sorella, che da allora non ha più rivisto; decine di lettere che le ha inviato da Istanbul – dov’era andata a vivere – sono sempre state rimandate al mittente e, perciò, ha deciso di tornare, per rivederla ancora una volta, cercandola nell’ultimo posto dov’erano state insieme.

I sei amici inventano così la platea cui la sconosciuta racconta il suo passato, la sua vita avventurosa, la sua fuga lontano dalla sorella a causa di un segreto inconfessabile che le ha costrette a separarsi.

Con la sua storia la donna sconvolge la vita serena e tranquilla di quelle tre coppie, inducendo ognuno a riflettere sul senso sotteso all’esperienza di quella vita raccontata, riportandolo a quello della propria, ponendosi domande, cercando risposte.

La vicenda si dipana nell’arco di un pomeriggio, affidata al racconto delle due sorelle protagoniste, che si succedono nella narrazione con un delicato meccanismo che affida all’una la prosecuzione del filo narrativo là dove si interrompe quello dell’altra.

La sensazione è quasi quella della continuità tra due monologhi tra loro intrecciati, il cui collante è costituito da quelle lettere mai lette, inserite in alcuni spazi della narrazione, e a cui è affidato il compito di chiarire o completare alcuni passaggi rimasti scoperti.

La struttura e l’effetto sono molto teatrali: la storia ben si presterebbe difatti ad una rappresentazione scenica, vista anche l’unicità del luogo d’azione e la staticità dei personaggi.

Quanto a questi ultimi, un efficace tocco di maestria dell’autore è quello di rompere l’inganno che vorrebbe far apparire le tre coppie figure di solo contorno, trasformandole invece da spettatori passivi del racconto in ingranaggi che lo rendono perfettamente funzionante. Esse rappresentano tipi, caratteri, esempi di diversa sensibilità e di un vario vissuto che, benché sembrino appena accennati, si insinuano potentemente nella trama rendendo evidente una serie di “non detti” che non riescono a rimanere sfumati.

Il racconto delle protagoniste finisce per diventare perciò una sorta di catena cui, attraverso gli spunti che offre, si riagganciano le riflessioni degli altri personaggi consentendo loro di compiere un’autoanalisi sulle loro vite, sul loro presente, sugli inganni su cui provano a restare in equilibrio, ma solo per prenderne consapevolezza, lasciando poi all’immaginazione del lettore l’invenzione di quale potrebbe essere la possibile svolta, il possibile cambiamento, sotto l’effetto di quell’imprevista scossa emozionale.

Il contenuto del racconto delle protagoniste non è di per sé particolarmente originale, ma a renderlo straordinario è, tuttavia, la delicata architettura della narrazione, sottile, penetrante, tanto da apparire più come un audace percorso psicologico - catartico per alcuni personaggi, di presa di coscienza per altri – che meramente narrativo.

C’è la riflessione sulla felicità – che è “ciò di cui tutti noi, alla fine, abbiamo bisogno” - ; quella sull’amore e sul dolore - “Dolore. una parola che dice tutto, ma non spiega nulla. Quando ami davvero, devi essere pronta a tutto. Al fulmine e alla tempesta. Alla pioggia e alla siccità. Non puoi sapere fin dove ti spingerà questo sentimento che ti consuma. Non riesci nemmeno a distinguere la felicità dalla disperazione, perché in amore spesso l’una è la ragione dell’altra” – e quella sulla vita in generale, che “scorre come un respiro. E dentro ci lascia la nostalgia per ciò che avremmo potuto fare e la consapevolezza di ciò che siamo diventate.”

Ozpetek, insomma, rapisce e convince, dimostrando ancora una volta, oltre alla sua capacità narrativa, tutta la sua abilità di regista dei sentimenti e tutta la sua sensibilità, che ci consegnano una lettura gradevole, delicata, lieve che, pur senza picchi e sorprese, non risulta affatto banale.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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