Fino allo scorso anno, le immagini che arrivavano da città e fabbriche in tutta l’Asia sembravano mostrare zone curiosamente immuni dal virus che stava flagellando il mondo. Alla fine del 2020, Thailandia e il Vietnam contavano meno di 200 morti, e addirittura nessuna vittima Cambogia e il Laos.
In primavera, il quadro si è totalmente ribaltato, con l’insorgere di focolai che hanno minato fortemente attività fondamentali nella catena di approvvigionamento globale, minacciando di interrompere il flusso già teso del commercio internazionale.
L’aumento dei casi ha costretto gli impianti industriali in tutta la regione - Thailandia, Malesia, Vietnam, Cambogia, Cina e Taiwan - a fermare la produzione mentre migliaia di lavoratori venivano messi in quarantena.
La diffusione del Covid in paesi all’inizio elogiati per il successo nel contenimento del virus ha messo a nudo le lacune dei programmi di vaccinazione, colpendo soprattutto le fasce più vulnerabili della popolazione, a cominciare da chi lavora per lunghe ore in spazi ristretti. Ancora adesso, la situazione sta mettendo a dura prova l’offerta, proprio mentre la domanda sta aumentando in tutto il mondo.
I cluster di Covid delle industrie manifatturiere e dei trasporti asiatici sono nettamente diversi da ciò che sta accadendo nelle economie occidentali. Gli Stati Uniti e l’Europa celebrano un graduale ritorno alla vita quotidiana, con casi perfino estremi di chi dichiara che la pandemia è finita, anche se le autorità sanitarie avvertono che la variante Delta rappresenta un nuovo possibile rischio.
La maggior parte degli statunitensi ha già ricevuto almeno una dose di vaccino, e decine di migliaia di dosi vanno addirittura sprecate ogni giorno.
I paesi ricchi si sono uniti per fornire risorse e vaccini ai paesi in via di sviluppo, ma gli esperti avvertono che si tratta di sforzi insufficienti per vaccinare la maggior parte della popolazione mondiale, l’unica strada possibile per mettere veramente la parola fine alla pandemia.
“In tutto il mondo, molti paesi stanno affrontando un’impennata di casi senza poter contare sui vaccini”, ha ammonito il mese scorso direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus al G7 ospitato nel Regno Unito.
Per quasi tutto il 2020, i casi di coronavirus in Thailandia hanno raramente superato la dozzina al giorno, anche se il paese ha sperimentato una lieve ondata a gennaio e febbraio, scesa di nuovo sotto le due cifre a marzo. Poi i casi hanno cominciato a salire, esplodendo in una seconda ondata con migliaia di casi al giorno. E le infezioni ormai dilagano: alla fine di maggio, una fabbrica di componenti per computer ha registrato più di 2.100 casi, e negli stessi giorni Bangkok faceva in conti con 34 cluster diversi, tra cui uno segnalato in un fabbrica di ghiaccio e un altro in un grosso magazzino di merci. Lunedì scorso, il ministero della salute ha annunciato di avere messo sotto osservazione 111 casi in tutto il paese, con il timore che il peggio debba ancora arrivare.
Una situazione esplosiva, con paesi come Thailandia e Malesia che oltre a non essersi assicurati scorte vaccinali sufficienti, non rientrano nei parametri economici per poter ricevere le dosi del programma umanitario COVAX. La Thailandia negli ultimi mesi si è data da fare per acquistare dosi massicce di vaccini, ma nulla si è mosso fino giugno, quando la gravità dei cluster è diventata chiara e il governo ha scelto di dare priorità ai lavoratori manifatturieri. Il premier e il comitato nazionale Covid sono stati costretti a scusarsi pubblicamente per i ritardi nella fornitura e nella distribuzione. Ma a quel punto, il virus era ormai fuori controllo: il giorno dopo sono stati individuati altri sette nuovi cluster di grosse dimensioni.
La situazione asiatica potrebbe diventare un grosso problema per il commercio globale, in special modo se non sarà possibile tenere sotto controllo l’epidemia e tempo mantenere le fabbriche in funzione.
Mentre il mondo emerge dal peggio della pandemia, la domanda di tutto, dalle automobili agli elettrodomestici, aumenta di giorno in giorno. Una situazione che ha messo sotto pressione le catene di approvvigionamento, dato che le aziende sono state colte alla sprovvista dal rimbalzo e costrette a fare i conti con carenze di manodopera e componentistica. Taiwan, per esempio, ha visto le infezioni diffondersi nel settore dei semiconduttori, fondamentale per l’economia, con il rischio di mandare in crisi l’intero settore.
“L’ineguaglianza e la disparità tra i ricchi e le popolazioni a basso reddito è stata scandalosa. Avevamo una finestra di tempo molto breve per proteggere i più vulnerabili, e non l’abbiamo fatto”: più della metà di tutti i paesi occidentali hanno somministrato dosi sufficienti per vaccinare completamente almeno il 20% della popolazione, secondo il direttore generale dell’OMS, mentre solo tre dei 79 paesi a basso e medio-basso reddito hanno raggiunto lo stesso livello di vaccinazione.
Secondo alcune previsioni, il problema dell’offerta di vaccini si attenuerà probabilmente entro la fine dell’anno, quando è facile prevedere un’eccedenza, ma questo non significa affatto che il problema sarà risolto. “La continua scarsità di vaccini e la relativa minaccia di nuove varianti sono i principali rischi per la ripresa dell’attività economica globale e del commercio”, ricordava ad aprile Ngozi Okonjo-Iweala, direttore generale della World Trade Organization. Taiwan, Vietnam e Thailandia dispongono di sufficienti infrastrutture sanitarie pubbliche e capacità economiche per non essere “vulnerabili a conseguenze devastanti, ma devono distribuire rapidamente i vaccini e convincere la loro popolazione. La ripresa sarà più difficile e richiederà più tempo per i paesi più poveri dell’area asiatica, tra cui le Filippine e la Cambogia”.
Per mettere la parola fine alla pandemia, l’OMS punta a vaccinare almeno il 70% della popolazione mondiale entro il prossimo anno: significa 11 miliardi di dosi contro i 3 somministrati finora, soprattutto nei paesi ad alto reddito.
“I vaccini che saranno donati l’anno prossimo arriveranno troppo tardi per coloro che sono a rischio oggi. Il fallimento globale di condividere equamente la cura sta alimentando una pandemia a doppio binario che ora chiede il conto ad alcune delle persone più povere e vulnerabili del mondo”.