7 luglio 2021

La Hipgnosis e il redditizio mercato delle royalties musicali

L’imprenditore Merck Mercuriadis acquista i diritti di brani o intere discografie di artisti soprattutto a fine carriera. Un business stabile basato di canzoni senza tempo che non conosce crisi o instabilità, valutato in 2,2 miliardi di dollari, il 10% in più di quanto speso per acquisirli

Autore: Antonio Gigliotti
Nel 2018, l’imprenditore Merck Mercuriadis, ex manager di artisti come Guns N’Roses, Beyoncé ed Elton John, fonda la “Hipgnosis Songs Fund”, un fondo d’investimento britannico che opera unicamente in campo musicale acquisendo le “proprietà intellettuali” di album e canzoni. Un’idea che si fa notare immediatamente per la stabilità, non soggetta alle fluttuazioni dei mercati perché basato sui diritti che derivano da vendite, cover, esecuzioni dal vivo e streaming di brani scritti da artisti di grande fama internazionale.

Quando la Hipgnosis si è presentata alla borsa di Londra, si era già assicurata le royalties di brani scritti da Justin Bieber, Beyoncé, Rihanna, l’ex Eurythmics David Stewart, i Fleetwood Mac, Blondie e Barry Manolow. Nell’agosto del 2020, la capitalizzazione sfiorava il milione e 200mila euro, quando basta perché lo scorso gennaio il fondo riuscisse a mettere mano sulla metà dei diritti d’autore dell’intera produzione di Neil Young, oltre a buona parte di quelli di Shakira.

Il fondo, che ormai possiede i diritti di 65.000 canzoni, ha di recente aumentato i dividendi aspettandosi che il boom della musica in streaming, alimentato dalla pandemia, prosegua in modo massiccio con l’aumento del pubblico di piattaforme digitali come TikTok e Peloton. La società, che in pratica guadagna ogni volta che una delle canzoni di cui possiede i diritti viene riprodotta, ha quasi raddoppiato le proprie entrate, passando da 82 a 160 milioni di dollari all’anno, confortato dal miliardo di dollari speso di recente per assicurarsi diversi successi evergreen e 84 diverse discografie complete.

Al netto delle imposte, l’azienda ha aumentato i profitti operativi su base annua da 41,5 a 44,5 milioni di dollari, portando il dividendo annuale del 5 a 5,25% per azione. Merck Mecuriadis, fondatore e amministratore delegato di Hipgnosis, immaginava che la pandemia avrebbe accelerato lo spostamento il baricentro degli ascolti musicali verso lo streaming, che ormai viaggia su 443 milioni di utenti di servizi in abbonamento come Spotify, Apple Music e Amazon Music e che entro la fine del decennio, secondo alcune previsioni di mercato, si prevede raggiunga i 2 miliardi di utenti.

“Si tratta di un fenomeno che ha semplificato la musica passandola da un acquisto fisico a una comodità. In futuro, le piattaforme digitali rafforzeranno i ricavi: stiamo entrando in un’era in cui, per la prima volta, quasi tutto il consumo di musica è a pagamento”. Secondo i dati ufficiali, Hipgnosis afferma che gli introiti dello streaming sono aumentati del 18,4% nella seconda metà dell’anno e la cassaforte dell’azienda, composta dai diritti di 138 cataloghi di canzoni, è stato valutato 2,2 miliardi di dollari, il 10% in più di quanto sia costato acquisirli. Nella scelta musicale, Hipgnosis si concentra soprattutto sui classici, con una proporzione di canzoni uscite oltre 10 anni fa che rappresenta il 60% del portafoglio. Poco meno del catalogo è rappresentato dalla musica pop, seguita dal vecchio e sano rock.

Il mercato dei diritti lanciato da Mercuriadis attira sempre di più artisti a fine carriera che tentano di capitalizzare la propria produzione: lo scorso dicembre, Bob Dylan ha venduto per intero i diritti dei suoi successi alla Universal Music per più di 300 milioni di dollari. “I più grandi artisti musicali sopravvissuti al tempo a ai vizi sono ormai anziani, e molti di loro vogliono assicurarsi di garantire un futuro alle loro famiglie, ma anche alle loro canzoni - ha commentato Mercuriadis nel corso di un’intervista al programma Today della BBC Radio – si tratta spesso di brani disponibili a prezzi interessanti, e siamo convinti che triplicheranno il loro valore netto entro la fine del decennio”.

Il boom dello streaming sta riportando il sorriso a tutta l’industria musicale: la Warner Music, la terza compagnia musicale più grande al mondo, che ha in catalogo artisti come Ed Sheeran, si è trasferita in borsa lo scorso giugno e il prezzo delle azioni è aumentato di un quarto negli ultimi 12 mesi, per un valore di mercato di quasi 19 miliardi di dollari. Vivendi, proprietario della più grande azienda musicale del mondo, la Universal Music, che raccoglie artisti come Lady Gaga ei Beatles, è pronta a debuttare alla borsa di Amsterdam accompagnata da una valutazione superiore ai 35 miliardi di euro.
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