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Provo un senso di riscatto immenso, per me e per chi ha condiviso con me tutta questa sofferenza. Ho agito solo per aiutare gli altri ed è per questo che ho sempre detto che avrei rifatto tutto. L’accoglienza non può essere considerata una storia criminale, dovrebbe essere una storia profetica, come aveva detto monsignor Bregantini».
Sono le prime parole che Mimmo Lucano ha pronunciato a poca distanza dalla clamorosa sentenza con cui, lo scorso 11 ottobre, la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha letteralmente demolito l’intero impianto accusatorio della Procura di Locri e ribaltato l’abnorme sentenza di primo grado che – come si ricorderà (cfr. “
Secondo giustizia”, in Fiscal Focus del 9 ottobre 2021) - lo aveva condannato a 13 anni e due mesi di reclusione, raddoppiando addirittura la pena proposta dalla pubblica accusa. È rimasta in piedi solo un’accusa di falso relativa ad un singolo episodio, per cui la condanna residua è stata un anno e mezzo di reclusione con sospensione della pena. Tutti gli altri 17 imputati sono stati assolti.
Sono parole che non hanno alcunché di provocatorio, che non sanno di invettiva né di vendetta; sono piuttosto un placido annuncio da cui torna a fluire, finalmente libera, quella rivendicazione di umanità e rispetto della dignità umana che da sempre ha connotato l’azione di un uomo e di un modello diventati esemplari di ciò che “accogliere” davvero vuol significare.
Ed è significativa - anche se probabilmente del tutto casuale – anche la tempistica in cui arriva questa nuova pronuncia. È un momento delicato, di contrasto acuito tra magistratura ed esecutivo, dove la prima cerca di fare a brandelli norme partorite in maniera affrettata e perciò in contrasto con principi fondamentali e norme sovranazionali, mentre l’altro risponde aggirando le questioni reali. È un momento in cui sembra esserci la riscossa d’una giustizia che tenta di svincolarsi dai condizionamenti della politica per riacquistare una visione più limpida e ampia della realtà, superando i bastioni del pre-giudizio per tornare a valutare i fatti concreti e non le idee, prescindendo dunque dalle contaminazioni ideologiche che, come nel primo giudizio contro Lucano, sono sembrate invece essere il presupposto da cui procedere per condannare.
Ed è quest’ultima un’evidenza innegabile: nelle motivazioni della sentenza di primo grado Lucano era stato descritto come il "dominus indiscusso di un sodalizio" volto a strumentalizzare il sistema dell’accoglienza “a beneficio dell’immagine politica". L’ex sindaco di Riace, secondo i giudici, "dopo aver realizzato l’encomiabile progetto inclusivo dei migranti, che si traduceva nel cosiddetto 'modello Riace'" avrebbe poi destinato a scopi privati i fondi concessi dallo Stato a sostegno del sistema dell’accoglienza.
Peccato, però, che non ci fosse alcuna prova che potesse inequivocabilmente dimostrare l’illecito profitto perseguito da Lucano, contro cui, dunque, era poi stata giocata la carta del “movente politico” che, nella requisitoria dell’accusa, lo aveva descritto come un individuo preda del "demone ossessivo della ricerca di una sempre maggiore visibilità" a causa della quale avrebbe fondato un sistema clientelare a spese dei migranti.
Così il “modello Riace” era stato definitivamente demolito.
Ma cinque anni dopo (la verità, si sa, spesso cammina lenta), la giustizia ha infine indossato le lenti adatte a correggere la sua miopia e ha rivisto e confermato le ragioni della difesa di Lucano, che dall’inizio aveva sostenuto – appunto – che a processo non si stessero contestando reati, ma “una visione politica diventata famosa in tutto il mondo”, tanto efficace da smentire i teorici dell’emergenza perenne secondo cui sarebbero efficaci soltanto le politiche di repressione. Non c’era, perciò – ha dichiarato la Corte d’Appello – alcuna associazione a delinquere, né truffa, né peculato.
Intanto, però, l’immagine di Lucano è stata contraffatta; la sua carriera politica – ma quello gli è importato decisamente di meno – abbattuta. Il timore che Mimmo ha sempre manifestato era che venisse messo in discussione, vilipeso e screditato un meccanismo funzionante essenzialmente su ingranaggi di solidarietà, umanità, accoglienza ed inclusione, un insieme di valori rispetto ai quali fondi, contributi ed azioni apparissero soltanto come strumenti funzionali. E dove fosse estranea ogni pretesa di vantaggio che non fosse finalizzato al benessere di individui privati di patria e di beni, ma ancora fiduciosi della potenza di un abbraccio fraterno capace di restituire speranza e dignità.
Ora è finalmente il tempo della rinascita per Mimmo Lucano: come uomo, ma prima ancora come pioniere di un modello che – c’è da augurarselo - possa nuovamente tornare ad essere d’ispirazione e d’esempio, in opposizione a tendenze meno accoglienti e più emarginanti.