Lo scorso gennaio, quando sugli Champs-Élysée i fantocci con la sua testa infilati in una ghigliottina non si contavano più, il presidente francese Emmanuelle Macron si era arreso: dopo aver provato a mettere mano sulle pensioni con una riforma costata 38 giorni di sciopero, era stato costretto ad una clamorosa inversione a U, lasciando immutata la soglia dei 62 anni per andare in pensione, contro i 64 proposti.
Restava aperto un problema difficile da risolvere, per un Paese vanta una delle età pensionabili più basse al mondo, che Macron ha in mente di risolvere, anche a costo di rimetterci un secondo mandato. Proprio ieri, l’ufficio stampa dell’Eliseo ha diffuso una nota in cui si accennava ad un incontro con i rappresentanti dei sindacati per discutere di una misteriosa “sfida demografica” che altro non è, se non un tentativo di sponda di rimettere mano alle pensioni dei francesi introducendo anche un sistema punti più semplice dell’attuale accozzaglia di regimi diversi che rendono il settore assai complicato da gestire. Era stata una delle sue promesse elettorali nel 2017 per salvaguardare conti pubblici un po’ traballanti, e ad un anno scarso dal ritorno alle urne, anche consapevole che la manovra può costargli migliaia di voti, Macron non vuole che qualcuno lo accusi di aver scordato un tema così importante.
Con toni per adesso meno drammatici, anche in Germania si parla di un aumento dell’età pensionabile, portata a 68 anni dopo il parere del comitato consultivo del Ministero dell’Economia, secondo cui si avvicina il momento in cui la spesa pensionistica tedesca non sia più sostenibile, a meno di un drastico aumento delle tasse.
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