5 luglio 2021

Libano, la polveriera mediorientale

Lo chiamavano così fino alla metà degli ’70, con la guerra civile. Ora il benessere di quegli anni si è consumato fra scelte sbagliate, inefficienza e corruzione, a cui l’esplosione di un anno fa e la pandemia hanno dato il colpo di grazia

Autore: Antonio Gigliotti
Il 4 agosto dello scorso anno, 2.750 tonnellate di nitrato d’ammonio abbandonate da anni in un magazzino del porto di Beirut saltano in aria: muoiono oltre 200 persone e altre 7.000 restano ferite.

Ma l’enorme cratere lasciato da un’esplosione impressionante, secondo le indagini risultato tangibile di decenni corruzione e incuria, continua ad allargarsi trascinando il Libano in una crisi economica senza precedenti. Secondo quanto stimato dalla Banca mondiale, in 12 mesi il Pil del Paese dei Cedri ha perso un quinto del proprio valore, con carenze di carburanti che stanno mettendo in ginocchio industrie e trasporti, milioni di persone senza un lavoro e costrette ad acquistare beni di prima necessità al mercato nero, le assicurazioni sanitarie che rifiutano di coprire perfino le analisi del sangue e la campagna di vaccinazione che marcia ai minimi storici, malamente gestita dai partiti politici, mentre la lira libanese è ormai ridotta a carta straccia: al cambio ufficiale ne servono 15mila per un solo dollaro americano, che sul mercato diventano 18mila.

Non sono solo gli effetti malefici dell’esplosione che ha raso al suolo mezza Beirut, a pesare sull’economia: la crisi, secondo gli esperti, marciava spedita da anni, accentuata dal prezzo del petrolio era in calo e l’Arabia Saudita che tirava i temi in barca nel sostegno alle istituzioni. Un momento chiave, in cui l’incompetenza della classe politica è diventata visibile agli occhi del popolo, che ha iniziato a scendere per le strade mentre gli investimenti stranieri calavano a ritmo sostenuto.

Un anno fa, mentre la pandemia seminava le stesse profonde ferite che ha lasciato nelle economie di mezzo mondo, il Libano annunciava di fatto il default, ovvero l’impossibilità di onorare la rata da 1,2 miliardi di interessi di Eurobond sul debito pubblico, che in quel momento aveva raggiunto i 102 miliardi di dollari, con un rapporto tra debito e Pil del 170%.

Americani, francesi e sauditi sono forse i più impegnati sul campo per tentare di risollevare il Paese e mediare in una situazione esplosiva che potrebbe sfociare in una guerra civile, anche se tutti sono consapevoli che la strada verso il baratro è imminente. Nuvole minacciose che si scorgono chiaramente, ma neanche sufficienti a risolvere l’incapacità di darsi un governo dal 22 ottobre dello scorso anno, quando Saad Hariri fu incaricato di creare un nuovo esecutivo in sostituzione di quello dimissionario di Hassane Diab, sostenuto dagli Hezbollah.

Una situazione che potrebbe sbloccarsi con aiuti dall’estero o un prestito del Fondo Monetario internazionale, frenate da un senso di scetticismo dilagante verso la classe dirigente libanese, colpevole secondo gli analisti internazionali di non aver mai messo meno ad una riforma radicale nel timore di perdere potere, oltre che di incamerare buona parte degli aiuti internazionali.

Secondo i dati di un recente studio dell’Unicef, oltre il 50% dei libanesi vive ormai sulla soglia della povertà, con milioni di bambini che nell’ultimo mese sono stati costretti a saltare almeno un pasto al giorno: “La Banca Mondiale ha descritto ciò che sta accadendo in Libano come uno dei tre principali crolli economici visti dalla metà del XIX secolo. Ciò che l’indagine dell’Unicef mostra è che i bambini stanno sopportando il peso maggiore della catastrofe”.
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