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Nashville

Autore: Ester Annetta
È il titolo di un fortunato film del 1975 ambientato nell’omonima cittadina del Tennessee, rinomata per la musica country e western. Narra, con sfumature irridenti e provocatorie, le vicende di alcuni bislacchi personaggi alle prese con l’organizzazione di un festival musicale, attraverso cui viene tuttavia reso il ritratto di un’America confusa, immortalata in uno dei momenti più difficili e controversi della sua storia (poco dopo lo scandalo Watergate e la tragedia del Vietnam). Nel mentre, c’è pure un candidato qualunquista in corsa per la presidenza degli Stati Uniti che cerca di sfruttare il festival a vantaggio della propria campagna elettorale, con ciò calcando quella realistica tendenza che pone spesso a confronto l’industria dello spettacolo con la politica, specie quando quest’ultima tenta di assoggettare l’altra al suo servizio. In finale, sempre attraverso i personaggi, viene mostrato il volto di un’America che cerca di voltare la testa dall'altra parte anche dinanzi alla tragedia: quando la star del festival viene uccisa dal colpo di fucile sparato da uno squilibrato durante il suo show, prontamente il palco viene rassettato e lo spettacolo prosegue, passando di mano ad un altro strano personaggio che, dopo una breve esitazione, intona “It don't worry me” (Non me ne importa nulla).

Ma Nashville è anche – e purtroppo fuor di finzione – il luogo dove pochi giorni fa si è consumata l’ennesima strage, imputabile all’eccessivo permissivismo che in più di un’occasione ha travisato la regola, tutta americana, che legittima pressoché indiscriminatamente il possesso di armi.

Audrey Hale, 28 anni, si è introdotta nella Covenant School – di cui era stata allieva – e ha aperto il fuoco uccidendo la preside, il custode dell’edificio e tre bambini, una dei quali figlia del pastore della scuola. Con sé aveva ben tre armi: una pistola e due fucili semiautomatici.
L’azione è durata 14 minuti, dopodiché lei stessa è stata freddata dalle forze dell’ordine frattanto intervenute. Secondo il capo della polizia, ci sono concrete possibilità che Audrey avesse del “risentimento nei confronti della scuola” e ciò avrebbe giustificato la sua azione, lungamente premeditata, come dimostrato dai fogli che aveva con sé, su cui era dettagliato il piano che intendeva portare a termine oltre che la sua rivendicazione.

Un dettaglio – di per sé certamente, importante ove lo si associ ad un quadro più generale di disagio che, sicuramente, caratterizzava la personalità di Audrey – è stato invece considerato dirimente da una frangia conservatrice che avrebbe tentato in tal modo di deviare l’attenzione da una ben diversa e più evidente questione.

Audrey era una transgender, tant’è che, sul proprio profilo social, usava “pronomi maschili” riferendosi a sé stessa.

Ed a ciò si sono infatti richiamati i tanti repubblicani e i sostenitori di Trump che hanno voluto individuare nella disforia di genere del killer il movente della sua azione, giacché, attaccando una scuola cristiana, egli avrebbe inteso simbolicamente aggredire quei valori e quell’ideologia che contrastano e si pongono in antitesi con la “pretesa” transgender.

Lo ha detto persino lo stesso figlio di Trump, che con un post affidato al proprio canale Twitter, ha anzi sfrontatamente tentato di deviare l’asse dell’attenzione dalla questione del possesso e dell’uso improprio di armi a quella di genere: “Visto il numero crescente di trans e non binari che compiono sparatorie di massa, forse invece di parlare di armi sarebbe meglio parlare di questi lunatici che spingono la loro riaffermazione di genere sui nostri figli?”.

Stavolta non si tratta di un film, eppure è ugualmente riscontrabile un incredibile punto di contatto tra questa tragica ed attuale realtà e la finzione. E’ difatti qui narrata quella parte d’America che, proprio come nelle sequenze della pellicola Nashville, tenta di volgere lo sguardo altrove, di passare indifferente su temi troppo scottanti portandone in primo piano altri palesemente pretestuosi. Le polemiche dei repubblicani hanno in realtà l’obiettivo di deviare l’attenzione dal dibattito sulle armi d’assalto, che invece torna a riproporsi dopo ogni nuova sparatoria di massa, la cui incidenza sta aumentando in maniera esponenziale: da gennaio sono state 49, per un totale di 87 vittime. Del resto, la media del possesso di armi negli gli Stati Uniti è di 120 ogni 100 abitanti!

All’opposto, c’è l’altra parte d’’America che, insieme al presidente Biden sollecita il Congresso ad un intervento che vieti le armi d’assalto. Richieste destinate però a cadere nel vuoto per la presenza di una serie di ostacoli tra loro concatenati. Primo tra tutti, l’intendimento in termini di “libertà” di un principio che la Costituzione americana ha invece consacrato come “diritto di difesa”, tra l’altro in un contesto e in un’epoca che non rispecchiano più l’attualità. Difatti l’affermazione: “Essendo necessaria alla sicurezza di uno stato libero una milizia ben organizzata, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non può essere infranto”, contenuta nel secondo emendamento, è figlia di un tempo in cui gli Stati Uniti avevano appena conquistato l’indipendenza e ai ricchi proprietari – loro fondatori – era necessario riconoscere il diritto di armarsi contro gli schiavi che avessero tentato la fuga.

Oggi quello stesso principio viene invece impiegato per tutelare la sicurezza del singolo individuo, riconoscendogli la libertà di possedere un’arma. E per cambiarlo occorrerebbe il favore di due terzi del Congresso e la ratifica da parte di 38 Stati. Un’impresa pressoché impossibile su cui incide prepotentemente un misto di interesse economico e ideologico: quello dei fabbricanti e distributori di armi e quello di ideologi e politici che rivendicano nel diritto alle armi un tratto fondamentale dell’identità statunitense. Per cui, il risultato è la convinzione che alle armi si debba rispondere con più armi, arrivandosi persino a formulare proposte assurde, come quella di armare i professori, di addestrare gli studenti all’uso delle armi, di prevedere controlli all’ingresso degli edifici e di mettere veterani di guerra sui tetti delle scuole.

Accade a Nashville, ma più in generale accade nell’America incoerente, dove acquistare alcolici prima di 21 anni è vietato, ma già a 18 (o addirittura prima, in alcuni Stati) si possono acquistare armi, persino online o in appositi reparti nei supermercati.

E il biasimo del momento per le ennesime stragi e morti innocenti passa e va, fino ad una nuova sparatoria, fino alla successiva vittima.
“It don't worry me”.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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