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Onorificenze

Autore: Ester Annetta
Sabato scorso il Quirinale ha reso noto che il Presidente della Repubblica Mattarella “ha conferito, motu proprio, 33 onorificenze al Merito della Repubblica Italiana a cittadine e cittadini che si sono distinti per atti di eroismo, per l'impegno nella solidarietà, nel volontariato, per l'attività in favore dell'inclusione sociale, nella cooperazione internazionale, nella promozione della cultura, della legalità, del diritto alla salute e dei diritti dell'infanzia.

La notizia, riportata da tutti i principali notiziari e sui giornali, è stata corredata anche dall’elenco completo di quegli “eroi del quotidiano” – come sono stati definiti – che hanno ricevuto il riconoscimento; per ciascuno è stato descritto un breve profilo e specificata la ragione (il gesto concreto o l’attività promossa) per cui l’hanno ottenuto.

Tra loro ci sono anche alcuni stranieri: Mamadou Fall, premiato “per il coraggio e l'altruismo con cui, a proprio rischio, è intervenuto per difendere una donna da una violenta aggressione” (39enne, senegalese, l'uomo il 9 luglio scorso a Follonica aveva salvato da un'aggressione in un condominio a colpi di martello una donna di 69 anni e i suoi due nipoti di 9 e 11 anni); Mohamed Ali Hassan, premiato “per il senso civico dimostrato in occasione della restituzione di una ingente somma di denaro” (39enne, somalo, collaboratore domestico a Vibo Valentia, aveva trovato per terra un portafoglio contenente cinquemila euro. Controllati i documenti e rinvenuta quindi l’identità della proprietaria, l’ha cercata per restituirglielo, rifiutando anche la ricompensa che la donna gli ha offerto).

A dimostrazione che non vengono tutti a delinquere o a rubare i migranti che giungono nel nostro Paese!

Nelle stesse ore, a Collepasso, in provincia di Lecce, si celebravano i funerali di Adelina - Alma – Sejdini, 47 anni, morta a Roma nella notte tra il 5 e il 6 ottobre scorsi, dopo essersi lanciata da Ponte Marconi.

Chi era questa donna di cui le cronache si sono ricordate solo per rimarcare cha al suo funerale non c’era alcun rappresentante delle istituzioni, benché la sua bara bianca sia stata coperta da una bandiera tricolore, come spetta agli eroi?

Era arrivata in Italia da Durazzo alla fine degli anni novanta, a bordo di un gommone, destinata al mercato della prostituzione che aveva scelto per lei la banda che l’aveva rapita e a tanto obbligata a soli 17 anni. S’era fermata prima in Basilicata e poi in Puglia. Per anni era stata costretta a prostituirsi, minacciata da quegli uomini che, infine, era però riuscita a far arrestare, ribellandosi alla loro schiavitù. Per riconoscenza le era stata concessa una proroga della validità del suo permesso di soggiorno.

Ma Adelina sognava di diventare italiana, si sentiva italiana.

Voleva quel documento formale che le riconoscesse la cittadinanza e tagliare così definitivamente e solennemente i ponti con quella terra matrigna in cui non voleva tornare.
Ma la sua richiesta era stata respinta più volte, arenata in pantani burocratici defatiganti.

Infine s’era anche ammalata: cancro al seno, devastante. Entrava ed usciva dagli ospedali, come pochi giorni prima del suo ultimo gesto.

Non aveva più nulla, le era stato persino revocato il diritto al sussidio mensile di circa 300 euro che era riuscita ad ottenere come invalida al 100%. In ultimo, la mattina del 5 ottobre, l’ultima della sua vita, s’era vista recapitare il foglio di via, dopo che per l’ennesima volta le era stata negata la cittadinanza italiana e aveva rifiutato quella albanese offertale in alternativa.

È morta apolide Adelina, con solo la certezza di un’identità e di una esistenza di valore prossimo allo zero.

Troppe volte s’era vista chiudere in faccia quell’unica porta attraverso cui avrebbe potuto tentare di iniziare un cammino di riscatto, ricostruire pezzetto dopo pezzetto la propria dignità calpestata, dare un senso alla grande volontà che aveva di aiutare tante donne che, come lei, erano costrette a vendere i loro corpi, in balia di esseri spregevoli e spregiudicati.

Invece è rimasta sola, senza casa, senza aiuto, senza “l’onorificenza” della cittadinanza, la sola che avrebbe voluto le si riconoscesse per il contributo dato a poter sgominare una banda di biechi schiavisti e salvare tante vittime d’una ignobile tratta.

Allora ha annunciato sui social la sua resa e i suoi intenti. Poi si è uccisa.

Solo il sindaco di Collepasso, il parroco e qualche familiare hanno presenziato al suo ultimo saluto, fatto di simboli – il vestito da sposa con cui il suo corpo è stato deposto nella bara e la bandiera italiana con cui quest’ultima è stata avvolta – con cui, con un estremo gesto di rivendicazione, Adelina ha celebrato le sue nozze con la Patria che l’ha respinta.

Lo Stato però è rimasto assente. A quelle nozze; a quel funerale.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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