Quando a marzo del 2020 l’Italia si fermò col primo dei decreti che imponevano chiusure e restrizioni a causa del Covid, il Teatro Ambra Jovinelli lanciò un appello a sostegno del mondo della cultura e dell’intrattenimento: se i possessori di biglietti o di abbonamenti per spettacoli che, a causa della pandemia, non sarebbero andati in scena, avessero rinunciato a richiederne il rimborso, devolvendone perciò l’equivalente al teatro, avrebbero avuto, in segno di gratitudine, una menzione nella “pagina d’onore” del suo sito.
L’iniziativa venne battezzata “Caro Teatro”, e proprio in virtù di quel senso di cura che l’espressione evocava, di quella diffusa solidarietà che, allora, era sembrato il risvolto positivo del Covid, offrii anch’io a quella buona causa quanto mi sarebbe spettato per il rimborso dei biglietti d’uno spettacolo che avevo acquistato tempo prima.
Effettivamente il mio nome oggi compare nella lista d’onore sul sito del teatro, ma me ne sono accorta solo qualche giorno fa quando dall’Ambra Jovinelli ho ricevuto una mail con cui, ancora in segno di gratitudine per quel semplice gesto di vicinanza, venivo invitata alla presentazione del libro “A questo poi ci pensiamo” di Mattia Torre, prevista per lo scorso 6 novembre.
Il programma della serata era davvero invitante e, dunque, immancabile: a fare gli onori di casa ci sarebbe stato il direttore de L’Espresso, Marco Damilano (di cui apprezzo molto anche gli “spiegoni” in apertura di Propaganda Live) e ai testi di Mattia avrebbero dato voce attori che ho sempre ammirato molto: Valerio Aprea, Geppi Cucciari, Massimo De Lorenzo, Carlo De Ruggieri, Valerio Mastandrea, Cristina Pellegrino, Virginia Raffaele.
Solo quando, arrivata nei pressi nel teatro, ho trovato un lungo serpentone di gente, in fila per l’accesso nonostante la pioggia battente che stava cadendo, ho cominciato a capire che quella presentazione (che ben presto ho scoperto aveva registrato il tutto esaurito) avrebbe avuto qualche particolarità.
La prima, di tutta evidenza, era la mancanza dell’autore.
Mattia Torre (autore, sceneggiatore, regista, ai più noto per essere stato uno degli ideatori di Boris) se n’è andato due anni fa, dopo aver combattuto contro un brutto male con coraggio ma, soprattutto, con l’ironia con cui aveva sempre affrontato grandi e piccoli argomenti della vita, facendone l’oggetto dei suoi acuti e divertentissimi monologhi. Molti li aveva scritti pensando proprio a chi li avrebbe interpretati: i suoi amici di sempre, quei moschettieri solidali e fraterni che, per un paio d’ore, sulle tavole di quel teatro a lui tanto caro, hanno compiuto la magia di far sentire ancora la sua presenza.
Giunge postuma la pubblicazione di questo libro – edito da Mondadori - come postumo è stato il David di Donatello assegnatogli a maggio scorso per la sceneggiatura di “Figli”, il film con Valerio Mastrandrea e Paola Cortellesi che non aveva fatto in tempo a dirigere. A ritirare il premio c’era andata, al suo posto, Emma, la figlia dodicenne, che senza cedere all’emozione, forte della presenza protettiva, alle sue spalle, della sua coraggiosa mamma, aveva ringraziato dicendo: «”Figli” parla di famiglia sole e di bambini che nascono, per questo ringrazio anche le ostetriche (la sua mamma lo è, ndr) che fanno nascere nuove vite e i medici che si impegnano a non far volare via le persone. Bravo papà».
Le parole di Francesca (Frou) Rocca - la moglie di Mattia – salita sul palco per introdurre la serata, sono state un racconto del loro “viaggio” (come lei stessa l’ha definito) insieme, di cui resta vivo e consolatorio il ricordo, arricchito dalla grande vitalità, dall’entusiasmo e da quella straordinaria dote che Mattia aveva di trovare il lato divertente di tutte le cose, grazie a cui la sua breve esistenza è stata piena ed entusiasmante.
Il libro è nato dall’esigenza di selezionare e raccogliere insieme alcuni tra i tantissimi scritti dell’autore, distribuiti nei suoi cinque pc, - che, come ha raccontato Frou, sono stati espugnati dagli “uomini neri” della Mondadori - passati su degli hard disk gemelli e consegnati ai due Valerio (Mastrandrea ed Aprea) per la lettura e la scelta dei brani da pubblicare.
Il risultato è stato una sorta di piccolo prontuario di vita, in cui, attraverso racconti, monologhi, dialoghi, note, articoli, viene tracciata una mappa delle cose umane, trattate con pennellate di saggezza filosofica miste a ironia, con leggerezza e con malinconia, in un’altalena emozionale che pervade e fa pensare.
Il titolo – “A questo poi ci pensiamo” – è esso stesso quasi un invito a cogliere l’attimo, a vivere il qui e l’ora, a celebrare la vita limitandone i “perché?”: tanto poi c’è sempre tempo per collocare ogni cosa al posto giusto o cambiarne la prospettiva.
Ognuno degli attori sul palco ha raccontato, con leggerezza e nostalgia, qualche suo aneddoto personale legato a Mattia, frammenti di spazio e tempo condivisi, passando poi alla lettura d’un brano cucitogli addosso da quel geniale amico che sapeva confezionare parole e situazioni come abiti su misura.
L’atmosfera che si è diffusa in quelle due ore è stato un miscuglio di emozioni: c’era l’allegria, c’era la malinconia, c’era il senso dell’unità, c’era la gratitudine, c’era l’amore.
E c’era Mattia, vivo, presente, circondato da tutte le anime belle illuminate dal suo tocco, da quel pugno di amici veri che ancora gli restano accanto, contribuendo a rendere il suo ricordo – come già era stato per la sua vita – un tesoro fantastico.