10 luglio 2021

Raffaella di tutti

Autore: Ester Annetta
Il ricordo più vivo che ho di Raffaella Carrà è quel roteare della testa che, nella foga dei suoi balli, con un movimento veloce e deciso – che non le impediva tuttavia di recuperare immediatamente l’equilibrio senza vacillare - le scompigliava il caschetto biondo. Anche quello tornava magicamente in ordine subito dopo, salvo qualche sottile ciocca ribelle che indugiava impigliata tra le ciglia per poi riprendere anch’essa il suo posto al successivo rapido movimento.

Appartengo a quella generazione cui la Raffa nazionale ha fatto da modello, col suo coraggio rivoluzionario, la sua audacia, la sua sicurezza, la sua elegante seduttività che non sono mai diventati arroganza, provocazione, volgarità.

Con le sue scollature, la sua disinvoltura, i tacchi altissimi, l’energia e “l’ombelico catalizzatore”, è stata forse colei che più d’ogni altra, già tanti decenni fa, quando la televisione pubblica non godeva di grosse libertà, ha saputo abbattere la barriere di genere, impossessandosi della scena con una disinvoltura ed una naturalezza che non hanno mai lasciato dubbio che non di accondiscendenza o strategia si trattasse, ma di autentica capacità e merito.

Di omaggi pubblici e celebrazioni che l’avranno voluta ricordare ce ne saranno stati a iosa fino ad oggi; tanti, ufficiali e solenni, saranno stati i messaggi di cordoglio ed i ricordi confezionati recuperando qua e là immagini di repertorio delle trasmissioni che l’hanno resa famosa.

Ma forse lei, nella sua essenzialità e genuinità, rimaste inalterate nonostante il precederla della gloria anche oltre oceano, avrà senz’altro apprezzato di più il ricordo della gente comune, delle tante cinquantenni d’oggi che portano il suo nome, assegnatole da madri che di lei hanno amato lo spirito libero e vivace; di quanti ha saputo rendere allegri con la sua energia contagiosa; dei tanti che ha fatto cantare e ballare col Tuca Tuca o fatto giocare con la scommessa di indovinare il numero di fagioli contenuti in un vasetto o commuovere davanti alla sorpresa d’un affetto perduto e ritrovato in una inattesa “carrambata”.

È stata la regina della tv, Raffaella, ma è stata prima di tutto la regina delle case degli italiani, una figura capace di essere, al tempo stesso, la showgirl inquadrata nello schermo e la persona di famiglia seduta sullo stesso divano dei suoi spettatori.

Non ha avuto bisogno di condotte che suscitassero scaldalo o scalpore per far parlare di sé, al contrario è stata proprio quella sua capacità di mantenere garbo e riservatezza anche quando si è trattato di proporre novità e infrangere schemi che le hanno consentito di conquistare consenso e popolarità conservandole, al tempo stesso, stima e rispetto.

Al ritmo delle sue canzoni tutte le bambine di qualche decennio fa hanno improvvisato balletti che tentavano di imitarla; anche quelle piccolissime hanno imparato a tenere il ritmo scuotendo i loro culetti imbottiti dai pannolini e battendo le mani sui suoi ritornelli. Le più grandicelle hanno amato i suoi dialoghi con Topo Gigio e la canzoncina di Maga Maghella; le adolescenti ne hanno emulato il taglio di capelli e quelle più audaci perfino l’abbigliamento quando, negli anni ’70 hanno ceduto al fascino del “pigiama-palazzo” che lasciava scoperto un lembo di pancia o la schiena.

È stata un sex-simbol, ma non nel senso più stretto e trasgressivo del termine: gli uomini l’hanno guardata, l’hanno desiderata, mantenendo purtuttavia sempre nei suoi riguardi una sorta di sacro rispetto, di quelli che impediscono di trascendere nell’oscenità e nel volgare e che non inducono alla gelosia le compagne.

L’umanità di Raffaella, mai sopraffatta né scolorita dal successo, è stata ciò che l’ha resa l’eroina della gente comune e la madre di tanti figli non suoi; la sua maniera pulita di celebrare il corpo e le gioie dell’amore è stata ciò che l’ha trasformata nel punto di riferimento di chi del proprio corpo e dei propri orientamenti sessuali provava vergogna o timore; la sua poliedricità, la sua capacità di essere tante cose e di muoversi su più campi, sono state la formula che le ha consentito di arrivare a tutti, a tutte le fasce d’età, ad ogni gusto, rendendola al tempo stesso un’avanguardista come pochi altri (i grandi nomi della conduzione televisiva, da Baudo a Corrado, per intenderci) negli anni in cui la televisione doveva ancora attenersi a rigorosi canoni.

È per questo allora che la sua scomparsa addolora, lascia una profonda tristezza, come se avessimo perso davvero una persona di famiglia o un’amica speciale.

Se n’è andata in silenzio, senza “Rumore”, tornando a quella semplicità di vita da cui tutto era iniziato, lontano dalle luci e dai lustrini che aggiungevano ancora più luce a quella naturale di cui già risplendeva.

Ha scelto la solitudine e l’assenza come spazio in cui contenere la sua malattia e la sua sofferenza, perché è un nobile segno di rispetto verso il proprio pubblico evitargli la spettacolarizzazione del dolore.

E prima che il suo tempo si compisse, aveva già scelto un’umile cassa di legno ed un semplice scrigno per le sue ceneri, cui affidare il suo ultimo viaggio, forse volendo ricordare a tutti ed a se stessa che tutto passa e torna al niente di partenza.

Ma questo può valere per il corpo, per le misere spoglie mortali che restano al termine d’una esistenza, per quanto piena essa sia stata.

Il mito e la memoria sono tutt’altra cosa.

Hola, Raffa.
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