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Rinascite possibili

Autore: Ester Annetta
Il dramma della povertà, della solitudine e della disperazione non conosce tregue né calendari e non fa perciò differenze di giorni, ricorrenze o feste.

Anzi, è forse proprio allora che si acuisce, in misura inversamente proporzionale alla leggerezza ed alla “vacanza” da affanni che valgono per chiunque altro.

Potrei perciò raccontare quest’inizio d’anno cominciando dalla storia d’una donna sconosciuta, una delle tante destinate a rimanere senza nome, che, nel tentativo di portare in salvo i propri figli da una terra di devastazione e dolore, ha immolato la sua vita. Stava tentando di raggiungere l’Europa seguendo una delle rotte di fuga (quella iraniano-turca) che ormai quotidianamente sono attraversate da eserciti di esuli inseguiti da eserciti armati. Una tempesta di neve l’aveva costretta a fermarsi, così, per impedire al freddo di aggredire i suoi bambini, si era tolta i calzini e li aveva infilati sulle loro mani, per scaldarle. Aveva quindi avvolto i suoi piedi in due buste di plastica, sperando che ciò potesse bastare a difendere anche lei dalla morsa del gelo. E, invece, cedendo a quel torpore che precede l’assideramento, si era addormentata per sempre. I suoi due figli sono stati trovati e soccorsi dagli abitanti d’un villaggio poco distante, salvati appena in tempo dalla stessa sorte. Avevano le mani rosse e gonfie per il freddo, ma per il tempo necessario al compiersi del miracolo del loro salvataggio, il sacrificio della loro mamma li aveva protetti.

Potrei, ancora, proseguire con la storia di Viorca, moldava, 45 anni, una laurea e sei lingue conosciute. Un passato di dolore, segnato da un aborto forzato cui era stata costretta, ancora diciassettenne, dalla zia che l’aveva presa in tutela dopo la morte dei suoi genitori. Aveva però studiato e si era fatta la promessa di un futuro dignitoso. Qualche anno dopo era arrivata in Italia, aveva trovato lavoro, si era sposata; solo allora aveva scoperto, sottoponendosi a varie visite, che del passato che aveva voluto cancellare qualcosa era avanzato: quell’aborto mal praticato le aveva definitivamente impedito la possibilità di altre gravidanze. Da lì s’era spalancata la voragine della depressione, cui era seguita la separazione dal marito e, infine, l’alcolismo. Senza più casa, lavoro, soldi, Viorca era dunque finita a vivere per strada, a campare d’elemosina e, ancora, d’alcol. E’ morta qualche giorno fa, di cirrosi epatica, nella sua stamberga di legno piantata nel giardino dell'ospedale Careggi a Firenze, dove viveva con dieci gatti. Al suo funerale c’erano solo quattro persone: un anziano medico volontario, un prete che le portava da mangiare ogni giorno e due senzatetto con cui condivideva le notti più fredde.

Ma voglio invece dare un impronta diversa a questo nuovo anno, marcarlo con un segno di speranza e di fiducia, raccontando una storia diversa, in cui coraggio e volontà fanno da ingredienti base alla ricetta della rinascita, quella che ci si propone e ci si augura all’inizio d’ogni nuovo anno, d’ogni nuova impresa, d’ogni punto e a capo o pagina voltata sul libro dell’esistenza.

E’ quella di diciotto operai d’una fonderia di Porretta Terme - in provincia di Bologna - che, di fronte alla prospettiva d’una vita di fatica andata in fumo e della disoccupazione conseguenti al fallimento di quella fabbrica dove da sempre avevano lavorato, hanno deciso di mettere in comune le loro forze – anche quelle economiche, racimolate tramite il sussidio di disoccupazione – dando vita ad una cooperativa che, a distanza di due anni dal fallimento, è riuscita ad acquistare all’asta la fabbrica fallita.

Nessuno di loro aveva capacità imprenditoriali o manageriali, ma solo tanta esperienza maturata sul campo: quanto necessario a trasformarsi in imprenditori di se stessi, facendo ciò che solo e meglio sapevano fare, così da riprendere in mano le loro vite ed i loro destini, ridando speranza e futuro alle loro famiglie, opponendosi a ciò che non avevano potuto scegliere.

E, di fatto, hanno così finito per scegliere: di combattere, di resistere, di rinascere.

Eppure, a guardar bene, la loro storia non è diversa dalle due precedenti: gli ingredienti sono gli stessi, tutte rappresentano l’impresa coraggiosa d’un cambiamento, la volontà di puntare all’obiettivo d’un progresso, il coraggio di abbandonare un presente o un recente passato misero, doloroso o semplicemente perduto e la volontà di andare avanti, inseguendo il desiderio d’una nuova vita.

Ciò che è differente è invece il finale, lieto soltanto per l’ultima delle tre storie.

Ma ciò non la rende affatto la sola emblematica, l’unica da cui possa ricavarsi un messaggio positivo.

La lezione da apprendere non è, infatti, quella della miglior sorte che si conquista perseguendo un’impresa, ma l’intenzione che sostiene l’impresa stessa, a prescindere dal suo esito.

Tutti i protagonisti di questi racconti sono perciò, a modo loro, dei “supereroi”, dotati dei “superpoteri” della forza (spesso quella della disperazione), della tenacia e della determinazione necessarie a volgere al possibile le imprese difficili e, più ancora, del desiderio d’essere migliori.

Chiunque abbia un briciolo d’umanità può perciò essere a sua volta loro pari o loro alleato: di fatto ciò che basta è semplicemente non voltarsi dall’altra parte di fronte alla pietà invocata da un rifugiato o della silenziosa richiesta d’aiuto di chi la solitudine ha trascinato ai margini dell’esistenza.

Tutti possiamo essere compartecipi d’ogni rinascita.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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