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Romeo e Giulietta: dramma antico e fascino moderno

Autore: Ester Annetta
Il Globe Theatre di Roma ha compiuto diciott’anni e, per festeggiare la sua “maggiore età”, non solo ha cambiato nome, divenendo il “Gigi Proietti Globe Theatre Silvano Toti”, in onore del suo compianto direttore artistico, scomparso lo scorso novembre, ma ha riaperto la sua stagione proprio con Romeo e Giulietta, il capolavoro shakespeariano con cui venne inaugurato nel 2003, nella versione rivista e diretta proprio dallo stesso Proietti.

Tornare a teatro dopo la lunga chiusura imposta dalla pandemia (che a questo settore è costata più cara che ad ogni altro) è una grande emozione; ripartire da un teatro suggestivo come il Globe, con la sua atmosfera antica e romantica, e, soprattutto, rivedere le immagini del maestro mentre dirige i suoi giovani attori durante le prove dello spettacolo sul grande schermo che riempie il palco prima che la rappresentazione abbia inizio, ha il gusto d’un rituale propiziatorio e, insieme, d’una celebrazione solenne, che omaggia al tempo stesso il maestro scomparso e il teatro che rivive.

Nonostante il numero delle presenze sia forzatamente ridotto e siano imposti spazi vuoti tra i sedili dei palchi e, soprattutto, nel parterre - di solito gremito dal pubblico più giovane che al ridotto costo del biglietto immola la comodità della seduta, pur di godere dello spettacolo - un unico grande e potente respiro sembra rianimare quel luogo magico, dove il rapimento estatico provocato dall’azione e dai versi sa ingannare il tempo, lasciandolo scorrere veloce, inavvertito, come se la nota, lunga, durata delle opere del Bardo si contraesse grazie al piacere che cattura la vista e i sensi.

Questo ritorno è una festa, cui sembra far eco l’altra festa che, lì sul palco, dà inizio alla storia dei due giovani innamorati veronesi. È un attimo appena, una sequenza che blocca l’azione che, da quel momento in poi riprende mutata, nel ritmo e nella visione, dissolvendosi dapprima nella malinconia e, infine, nella tristezza del dramma in cui la vicenda si consumerà.

Proietti – che, con questa prima opera in scena è come se, simbolicamente, desse la mano allo spettatore per rassicurarlo della propria presenza, a cominciare da qui e per tutta la durata della stagione - ha creato un artificio registico davvero efficace, in grado di mescolare l’antico alla modernità, di creare un legame tra il passato e il presente attraverso cui si riscopre l’attualità di una vicenda che, davvero, potrebbe anche non avere una sua precisa collocazione temporale ed adattarsi invece ad ogni contesto e ad ogni epoca. Il maestro ha infatti proposto una versione della tragedia shakespeariana in cui sembra essere l’amore il vero protagonista più che i personaggi; ed un tale mutamento di prospettiva fa sì che il sentimento possa persino estraniarsi dalle vicende concrete, che finiscono per diventare una delle tante possibili cornici in cui può cogliersi ed interpretarsi.

Da qui, dunque, la scelta di un inizio decontestualizzato dall’ambientazione tradizionale: i gruppi di giovani veronesi rappresentanti le due famiglie in contesa dei Montecchi e dei Capuleti assomigliano di più ai ragazzi di due bande di quartiere rivali - tutti brand, rock e telefonini - che si sfidano a colpi di rap. La festa a casa dei Capuleti offre l’occasione per un travestimento che invece altro non è che lo stratagemma per riportare la vicenda alla sua epoca. Ed è difatti proprio durante la festa che, ad un tratto, tutto si ferma: l’azione ed i personaggi si bloccano, come pietrificati, eccetto i due giovani amanti che da quel momento in poi è come se entrassero in una diversa realtà o forse in un sogno. Ciò che accade dopo, infatti - è che è noto ai conoscitori della tragedia del Bardo – potrebbe infatti interpretarsi più che come il suo naturale prosieguo, come qualcosa che accade in una diversa dimensione: la fantasia o il sogno dei protagonisti, piuttosto che la loro realtà.

I versi riprendono il loro lessico originario, così come i costumi e l’ambientazione (lasciata peraltro all’immaginazione, perché non ci sono arredi o scenografie ad evocarla), scorrendo secondo la nota trama. È solo alla fine che l’incantesimo si dissolve, col rientro di tutti i personaggi nuovamente in abiti e movenze moderni, che diventano spettatori del dramma finale dei due antichi amanti, i quali, più che mai in quel momento, incarnano l’amore, la sua essenza, il suo valore ed il sacrificio cui è costretto quando si scontra con l’inveterato odio tra due famiglie… che potrebbe anche essere quello tra due diverse classi, etnie, razze.

Lo stesso Proietti, nel presentare la prima edizione di questo Romeo e Giulietta da lui diretta l’aveva così raccontata: “Ho sempre pensato che la festa a casa Capuleti fosse una specie di sliding door, che attraversata o evitata conduce a storie diverse. Se Romeo decidesse di non andare alla festa? E se tutta la storia fosse solo il sogno di una giovane mente eccitata dall'amore? E se fosse proprio l'amore la chiave che apre le porte del tempo proiettandoci nell'eterna favola dei due innamorati? Da qui sono partito per decidere di collocare la prima parte ai nostri giorni. La festa è un ballo in maschera, che dopo il primo sguardo e la fatidica scintilla si trasforma in un sogno di epoche lontane. Il pubblico si vedrà riflesso nella storia, in un gioco di specchi in cui si raccontano due realtà, due secoli, due mondi”.

Straordinari tutti i giovanissimi attori interpreti, perlopiù riconfermati dalle precedenti stagioni: dalla fresca e dolcissima Mimosa Campironi nei panni di Giulietta a Matteo Vignati che interpreta un Romeo che pare evolversi, passando dall’iniziale ingenuità e “stupidità adolescenziale” ad una improvvisa e più marcata maturità indotta da quel sentimento forte e contrastato.

Superba anche l’interpretazione di Frate Lorenzo affidata a Gianluigi Fogacci, (che mi vanto di aver avuto come maestro ai tempi in cui frequentavo un laboratorio teatrale) shakespeariano puro e come tale interprete impareggiabile anche d’altri mirabili ruoli, e quella di Donna Capuleti affidata all’eccezionale bravura di Antonella Civale (che tanto tempo fa ho avuto l’onore di affiancare con una piccolissima parte sulle tavole d’un palcoscenico).

Le rappresentazioni di Romeo e Giulietta proseguiranno ancora fino a domani 25 luglio; poi la programmazione del Globe andrà avanti con: La dodicesima notte, con la regia di Loredana Scaramella (dal 28 luglio all’8 agosto); Il sogno di una notte di mezza estate, con la regia di Riccardo Cavallo (dal 10 al 15 agosto); Misura per misura, diretto da Giacomo Bisordi (dal 19 al 29 agosto); Venere e Adone, con la regia di Daniele Salvo (dall’1 al 5, e dal 9 al 12 settembre); Falstaff e le allegre comari di Windsor, diretto da Marco Carniti (dal 17 settembre al 3 ottobre), e Pene d’amor perdute, con la regia di Danilo Capezzani (dal 7 al 10 ottobre).
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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