Settembre

Lo si sente negli ultimi giorni di agosto, quando i mattini sono più freschi e reclamano l’abbraccio di quel lenzuolo che le calde notti precedenti hanno imposto di scalciare: è il languore che accompagna la sensazione di un finire giunto troppo presto, quando la fame di quiete regalata dal tempo di vacanza non è ancora appagata eppure già incalza la percezione dell’affanno del tempo ordinario.

Pare ieri che la valigia pronta per un viaggio indietro nel tempo, verso i luoghi antichi in cui è rimasto inciso il ricordo di un’età migliore fatta di spensieratezza e di essenzialità, prometteva di svuotarsi d’ogni zavorra e ricaricarsi d’energia positiva.

Un programma fatto di poco o niente – letture leggere all’ombra d’un pergolato, il dondolio dolce di un’amaca sospinta dal vento, il silenzio saturato solo dal verso delle cicale e delle tortore – si sarebbe srotolato con lentezza lungo pomeriggi d’ozio, guarniti da racconti di vecchi amici ritrovati, da aneddoti di donne e uomini consumati dagli anni, custodi della memoria di radici lontane, pregni di quella semplicità che ancora resiste agli insulti della modernità e che rende magico il fluire della vita in un “dove” che sembra incantato, fatto di un pugno di case in cima ad una collina battuta dal vento.

Tre settimane: un privilegio di pochi, che possono invece misurare solo in giorni le loro ferie, il cui inizio spesso coincide col termine di quelle dei più fortunati e che soggiacciono alla scommessa d’uno scampolo d’estate che possa ancora riservare giorni senza temporali.

Eppure passano veloci. Il conto alla rovescia è già iniziato quando ancora non appare affatto lontano il distacco dai ritmi concitati scanditi durante il resto dei mesi. I giorni del calendario segnano numeri che appartengono al quadrante dell’estate ma i sensi, il corpo, la mente percepiscono già l’indietreggiare della bella stagione insieme all’avanzata dell’aria d’autunno che porta con sé avvisaglie di quelle tensioni che sottolineano l’inizio d’un nuovo ciclo, la ripresa d’ogni incombenza sospesa o rimandata.

Il vero “capodanno” si avverte ormai prossimo, ma altrettanto s’avverte l’incertezza d’essere di nuovo pronti ad affrontarlo.

Cambia l’aria, cambiano i colori, cambia l’umore. Una sottile malinconia che già si confonde con la nostalgia s’insinua lentamente tra le pieghe dei pensieri, annotando un “già stato” su ciò che solo poco prima sembrava essere ancora un “sarà”.

Gli spazi infiniti in cui lo sguardo si perde, gli odori, le linee d’orizzonte che si stagliano lì dove i paesaggi mutano o sfumano si impongono ancora prepotentemente, ma sembrano ora un dispetto, a fronte del piacere e della serenità che trasmettevano i primi giorni. D’improvviso nutrire lo spirito non è più sufficiente; la mente pare strattonata, ricondotta a pensieri concreti, respinta bruscamente verso l’imperativo d’un fare, preparare, organizzare che sbarra ormai l’accesso al perdersi dei sensi, dei doveri e delle responsabilità.

E poi c’è il buio che anticipa sempre più l’inizio di sere ormai fredde più che fresche; c’è il bagliore dei fulmini e il rombo dei tuoni che quasi ogni pomeriggio trafiggono il veleggiare di nuvole che si accumulano minacciose, spesso traducendosi in rovesci che cambiano l’odore dell’aria e della terra. Sono proteste brevi, piccoli sfoghi di maltempo che sembrano voler allenare a quanto tra non molto diverrà l’ordinario.

Poi passano; eppure ogni volta lasciano sempre più solcata la sensazione della fine d’un tempo, d’una stagione che è anche quella della nostra esistenza che “ora passa e declina, in quest'autunno che incede con lentezza indicibile, il miglior tempo della nostra vita e lungamente ci dice addio.”

È settembre, buona fine e buon inizio.