Certo, non c’è evento pari alle Olimpiadi per esaltare i principi sportivi di Pierre De Coubertin, ma non c’è anche palcoscenico migliore per attirare sponsor in cerca di visibilità mondiale, in una gara pre-olimpica che ha come obiettivo assicurarsi un posto in prima fila, il più vicino possibile al logo ufficiale.
Come ogni edizione, anche Tokyo 2020 di sponsor ne ha rastrellati una sessantina, addirittura divisi in categorie: Partners, Gold Partners, Official Partners e Official Supporters. Fra multinazionali e colossi del beverage come dell’elettronica di consumo, anche numerose aziende giapponesi, per un investimento totale di circa tre miliardi di dollari. Per 15 di loro, addirittura, è stata creata la categoria “Gold Partners”, dove esserci ha richiesto mettere mano a 135 milioni di dollari a testa. Un investimento che, al netto delle strategie di marketing, aveva un ritorno nel 2013 calcolato in 12 miliardi di dollari di indotto, di cui 2 derivanti da hotel, ristoranti e merchandise olimpico, e altri 10 a rilascio lento, una cura d’immagine e di efficienza mostrata al mondo che avrebbe disseminato positivamente gli anni a venire.
Non è andata così. L’incertezza che ha accompagnato la penosa marcia di avvicinamento alle XXXII Olimpiadi è riuscita a cambiare completamente la prospettiva: se prima salire sul carrozzone a cinque cerchi era un’opportunità da non perdere, ora rischia di diventare un danno d’immagine incalcolabile.
Il mercato interno, ovvero l’opinione pubblica, da tempo protesta inviando raffiche di petizioni e raccolte firme al governo per chiederne l’annullamento. Perfino l’imperatore Naruhito e il premier Yoshihide Suga non sono riusciti a nascondere le proprie perplessità, ma la macchina era ormai avviata, e nulla al mondo poteva fermarla.
Una crisi certificata da un freschissimo sondaggio pubblicato dal quotidiano “Asashi”, secondo cui il 68% dei giapponesi – a tre giorni dall’inizio - dubita della capacità dell’organizzazione di riuscire a frenare i contagi, mentre un netto 55% si dice ancora una volta contrario ai Giochi, che andrebbero annullati finché si è ancora in tempo. A pagarne le conseguenze maggiori è il partito del premier, scivolato ad 35,9% di credibilità, un dato che fa tremare pensando alla tornata elettorale del prossimo autunno.
In mezzo, sospesi tra due fuochi, gli sponsor, che uno dopo l’altro rivedono le strategie o studiano il modo di esserci, ma un po’ defilati, perché in caso di disastro nessuno si accorga che c’erano. Il caso più eclatante è quello del colosso “Toyota”, il maggior costruttore al mondo che secondo indiscrezioni avrebbe sborsato un miliardo di dollari, protagonista di una decisione clamorosa e improvvisa con cui ha annullato tutti gli spot televisivi in cui il marchio si legava all’evento olimpico. Una scelta spiegata come inevitabile da Jun Nagata, capo delle pubbliche relazioni del gruppo, che ha annunciato la defezione alla cerimonia di apertura del ceo Akio Toyoda e di altri altissimi dirigenti, presenze considerate inopportune visto che “le Olimpiadi non godono del favore del pubblico giapponese”.
Toyota non è la sola, anche la “Asashi Breweries”, la più grande azienda giapponese nella produzione di birra e bevande, pare si sia pentita amaramente dei 135 milioni di dollari investiti, una spesa a cui va aggiunto lo studio e lo sviluppo della birra ufficiale delle Olimpiadi Tokyo, che rischia seriamente di restare invenduta sugli scaffali dei supermercati. Assai perplessi anche i vertici della “KNT-CT Holdings Co. Ltd.”, potente tour operator nipponico contrariato dall’assenza di spettatori quando – lamenta - la “J-League” di calcio e il campionato di basket continuano a svolgersi con numeri limitati, ma comunque a porte aperte.
Nelle file di chi ha deciso di tenere duro la “Bridgestone”, colosso giapponese dei pneumatici, e la “Samsung”, che incrociando le dita donerà ai 17mila atleti olimpici e paralimpici il “Galaxy S21 5G Tokyo 2020”.