4 febbraio 2023

Un minuto e mezzo all’apocalisse

Autore: Ester Annetta
Quando, nel 1945, Little Boy e Fat Man vennero sganciate su Hiroshima e Nagasaki, gli scienziati dell’ex Progetto Manhattan – il programma di ricerca che, durante il secondo conflitto mondiale aveva portato alla realizzazione delle prime bombe atomiche – decisero di fondare il Bulletin of the Atomic Scientists. Si trattava di una rivista vocata alla trattazione di temi legati alla sicurezza globale e, in particolare, all’informazione sui possibili pericoli derivanti dalle armi nucleari e di distruzione di massa

Proprio per rendere più immediata la percezione di tali pericoli, nel 1947 gli scienziati del Bullettin pensarono di ricorrere ad un’efficace metafora e, dunque, idearono il Doomsday Clock (l’Orologio dell’Apocalisse): la mezzanotte indicata su quell’orologio significava la fine del mondo e, di conseguenza, i minuti precedenti segnavano il tempo ipotetico mancante al suo accadere.

Erano gli anni della Guerra Fredda, perciò, al momento della sua creazione, le lancette dell’orologio furono posizionate alle ore 23:53: sette minuti prima della mezzanotte.

Da allora, sarebbe spettato al Consiglio di Scienza e Sicurezza del Bullettin provvedere allo spostamento delle lancette, decidendo in base al verificarsi di eventi che avrebbero potuto accrescere il rischio di avvicinamento all’apocalittica mezzanotte.

Fu nel 1949, in seguito al primo test nucleare sovietico eseguito nel poligono di Semipalatinsk, in Kazakistan con l’atomica RDS-1, che la lancetta dei minuti dell'orologio venne spostata per la prima volta verso mezzanotte, alle 23.57.

Qualche anno più tardi, nel 1953 - dopo che era stata sviluppata (prima dagli USA e a seguire dall’URSS) la bomba all'idrogeno, cui era seguito il test termonucleare che aveva distrutto un atollo nell'Oceano Pacifico – le lancette furono portate alle 23.58, il limite più vicino alla mezzanotte mai raggiunto.

Tra alterne vicende, la distanza dalla mezzanotte ha continuato a variare fino ad allontanarsi in maniera considerevole nel 1991, allorché con la sottoscrizione del Trattato di riduzione delle testate nucleari strategiche (START 1), lo scioglimento del Patto di Varsavia e dell’URSS e la fine della “guerra fredda, arretrò di ben 17 minuti, alle 23.43.

Da allora, tuttavia, la “grande sveglia” ha iniziato a impiegare un conteggio più composito, che non identifica più la mezzanotte soltanto col pericolo di una guerra nucleare ma con qualunque altro evento – come i cambiamenti climatici – da cui può determinarsi un danno irreversibile per l'umanità.

Gennaio 2023.

La lancetta dei minuti viene spostata nuovamente, e si ferma alle 23:58:30.

Un minuto e mezzo appena a mezzanotte.

Il livello più basso mai toccato. Dieci secondi in più rispetto al 2020, quando il continuo riarmo nucleare e la mancanza di azioni da parte delle grandi potenze nel contrastare i cambiamenti climatici avevano fatto segnare un nuovo record.

Stavolta c’è qualcosa in più, che se all’apparenza vale solo dieci secondi, nella sostanza ha un peso ben più determinante: la Russia ha invaso l’Ucraina e, quella che nelle intenzioni doveva essere una guerra lampo, dura ormai da un anno.

Non solo: in aperta violazione dei protocolli internazionali, la guerra avviata dai russi è arrivata sino ai siti dei reattori nucleari di Chernobyl e Zaporizhzhia, col rischio, oltretutto, del rilascio diffuso di materiali radioattivi.

D’altro canto, la NATO continua a fornire armamenti all’Ucraina, contribuendo parallelamente ad aumentare la possibilità che la reazione sia una escalation nucleare, tanto più che il New START, l'ultimo trattato sulla riduzione delle armi nucleari firmato nel 2010 a Praga tra Russia e Stati Uniti scadrà nel febbraio 2026.

Su tutto, la crisi climatica aggravata dagli insuccessi degli ultimi incontri tra i grandi della Terra, non ultimo il vertice Cop27 dell'Onu del novembre scorso che, per ammissione dello stesso Segretario Guterres, ha di poco sfiorato il completo fallimento.

Noi, l’Italia, in tutto questo abbiamo la nostra parte.

Sarebbe allora forse il momento di riconsiderare certe posizioni, giacché le questioni più concrete che urge affrontare sono quelle che vanamente si tenta di nascondere dietro il diversivo della polemica sull’intervento del Presidente Zelens'kyj al Festival di Sanremo.

E bisogna far presto. Per riportare indietro il tempo.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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