27 novembre 2013

COMMERCIALISTI... NON CI RESTA CHE PIANGERE

A cura di Antonio Gigliotti

Cari amici colleghi,

qualche giorno fa ho creduto di assistere a un miraggio. Dopo l’ammirabile manifestazione unitaria tenutasi a Roma dietro impulso del Commissario straordinario (ahimè) della nostra categoria, ho creduto che davvero qualcosa si stesse muovendo. La partecipazione compatta delle sigle sindacali ci aveva illusi, alla stregua di ingenui neofiti, che finalmente ci stavamo riprendendo quanto in realtà ci è stato sottratto: una presenza costante nelle decisioni politiche, una volontà combattiva contro chiunque pensi di poterci calpestare. Tuttavia, placati i clamori dei giorni immediatamente successivi, siamo ripiombati nella disillusione, nella consapevolezza che lo scenario è rimasto immutato.

Eppure non si può dire che siamo stati inermi e che abbiamo accettato passivamente quanto, nostro malgrado, veniva disposto dalle alte sfere governative. L’attività svolta da questo organo di informazione ha dato una costante testimonianza di lotta contro i soprusi ai quali era soggetta la categoria. Per ben due anni e poco più da queste pagine abbiamo denunciato la scarsa considerazione nei nostri confronti, sottolineando il fatto che sarebbe stato quanto mai opportuno battere i pugni già agli albori di questo malsano rapporto con l’Amministrazione Finanziaria, che da professionisti autonomi e indipendenti ci ha trasformati in segretari dell’Agenzia delle Entrate. Il nostro allarme quotidiano, dettagliato e attento è stato però preso sempre sottogamba da chi era invece stato chiamato a rappresentarci e tutelarci. Il punto è che nei piani alti non hanno mai avuto una conoscenza diretta delle dinamiche dei nostri studi, soprattutto di quelli medio-piccoli. ‘Loro’ erano impegnati a imbastire le rispettive carriere, politiche o di altra natura professionale, e i risultati di questo modo d’agire li abbiamo oggi sotto gli occhi di tutti. Hanno dimostrato un così tenace attaccamento alla poltrona, che a pagarne le conseguenze è stata l’intera categoria, oggi commissariata.

Dove vuole andare a parare una tanto amara riflessione? Ebbene, in questi giorni così difficili sia per il Paese che per la categoria, mi chiedo perché, come cittadino e come professionista, sono costretto a vivere in uno Stato che impone solo doveri, mentre i diritti li calpesta. Prendiamo il caso degli acconti in scadenza il prossimo (è già arrivato!) 2 dicembre. Sul punto , ad oggi, ci era stata annunciata una presunta proroga, ma a conti fatti non siamo neanche sicuri se ci sarà. E ci potremmo altresì soffermare sulla via crucis della seconda rata Imu, in scadenza al 16 dicembre (senza considerare il fatto che ancora non sappiamo nulla del decreto che dovrebbe cancellare quella sulla prima abitazione!). Insomma, noi, il Paese, le norme, i governanti… tutti brancoliamo nel buio, in un’Italia che è ormai sempre più simile al Paese del caos!

Io credo che non sia più pensabile chiederci di lavorare in simili condizioni. La recessione dalla quale ancora stentiamo a riprenderci non solo ha messo a terra i nostri clienti, che non possono neanche pagarci le consulenze meno dispendiose, ma ha anche prosciugato la liquidità dei nostri studi, nei quali trascorriamo sempre più tempo senza cavarne nulla. Lavoriamo per passione, è vero. Ma può la sola passione farci superare la crisi, vessati da più fronti? Non credo. Lo spero, ma non ne sono poi così tanto sicuro. Inoltre siamo costantemente posti innanzi al peggio del peggio, soprattutto sul fronte politico. Ultimi esempi vergognosi sono quelli legati alla recente crisi che ha mutato la fisionomia del Parlamento, trasformando i numeri di maggioranza e opposizione. Le vicende legate all’approvazione della legge di stabilità ne forniscono esempi esaustivi. Tecnici e politici duellano tra di loro, incapaci di agire con coraggio, ma estremamente fantasiosi nel cambiare i nomi alle tasse che aumentano invece di diminuire, come avevano promesso. E poi è un atteggiamento che, senza andare troppo lontano, ritroviamo anche all’interno della categoria, dove per troppo tempo gli interessi personali si sono anteposti a quelli della professione, generando quella stasi alla quale siamo giunti oggi.

A questo punto, guardando la categoria e inserendola nel contesto generale del Paese, mi chiedo se siano davvero queste le politiche di rilancio che aspettavamo. Non si poteva fare di più? O di meglio? Mi sembra di esser calato dalla solita politica dei ‘tarallucci e vino’.

A questo punto mi tornano in mente le parole che, più di mezzo secolo fa, scriveva il francese Georges Bernanos. “La speranza è un rischio da correre. È addirittura il rischio dei rischi”, affermava lo scrittore. E allora corriamolo questo rischio. Facciamola vivere questa speranza, non lasciamoci abbattere e schiacciare dalla paura e dalla disperazione!

Viva l'Italia! Viva i commercialisti!
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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