29 agosto 2013

I HAVE A DREAM...VIA IL CELLULARE..!

A cura di Antonio Gigliotti

Cari amici e colleghi,
in questi giorni stavo riflettendo su una realtà che ormai fa parte del nostro agire quotidiano: la presenza del telefono cellulare nelle nostre vite. Lo portiamo ovunque, non ce ne separiamo mai. Se all’inizio, quando è stato introdotto tra la gente comune, il cellulare veniva usato solo da chi aveva effettivamente bisogno di mantenere contatti costanti magari perché era sempre in viaggio per lavoro, al giorno d’oggi siamo arrivati alla condizione in cui hanno il cellulare persino i bambini delle scuole elementari.

Ora, sebbene il boom del cellulare si sia verificato tra gli anni Novanta e il primo decennio del 2000, la prima telefonata effettuata da un dispositivo mobile risale al 1973. Era infatti il 3 aprile di quarant’anni fa quando il project manager della Motorola, Martin Cooper, davanti all’ingresso di un Hilton Hotel della Grande Mela fece il numero di Joel Engel, capo dei "Bell Labs", ma soprattutto grande rivale di Cooper. L’apparecchio dal quale quella telefonata, progenitrice delle attuali videochiamate, era un preistorico DynaTAC 8000X. Probabilmente il creatore di quel pesantissimo quanto potente aggeggio aveva immaginato la valenza della propria invenzione, ma chissà se tra le previsioni ve n’era qualcuna così vicina alla pandemia da smartphone che sta caratterizzando i nostri giorni! In ogni caso, così come gli attuali telefono cellulari non sono nati dall’oggi al domani, anche per il DynaTAC 8000X di Martin Cooper il travaglio è stato lungo. Infatti il progettista dell’azienda di Chicago ci impiegò quasi un ventennio, dal 1954, per mettere a punto l’invenzione che ha mutato così radicalmente la nostra quotidianità. Il primo cellulare era però molto diverso non solo da quelli di ultima generazione, quanto anche dai modelli messi nel mercato tra il 1990 e il 2000. La prima telefonata partì difatti da un cellulare che pesava quasi un chilo, privo di display e con una batteria che si scaricava in mezz’ora salvo impiegarci ore per ricaricarsi. Malgrado però siffatte difficoltà, la storia della comunicazione sociale aveva preso una nuova piega che si sarebbe sviluppata poi nei decenni successivi fino alla realtà contemporanea.

I quarant’anni che ci separano da quella prima chiamata da un cellulare hanno portato delle profonde trasformazioni nel campo della telefonia mobile, sia per quel che concerne gli apparecchi utilizzati sia in riferimento al modo di fruizione. Per motivi legati al mio lavoro, sono costretto a vivere in costante sintonia col mio telefono e non solo per rimanere in contatto con colleghi, dipendenti e familiari, quanto anche per essere quotidianamente informato, istante dopo istante, di quanto avviene nel mondo politico e, nello specifico, in quello economico. Chi può farne a meno? Penso che ormai, volenti o nolenti, siamo stati irretiti dall’ammaliante potere del telefono cellulare e delle molteplici funzioni delle quali si è ultimamente arricchito.

Leggo, ad esempio, della video mania che sta coinvolgendo giovani e meno giovani, tutti presi a smanettare sul loro cellulare in cerca dell’immagine del secolo, di quella foto che darà una svolta alle rispettive vite sociali. Così siamo costretti a sorbire gallerie e gallerie di immagini, su social network et similia, di vite altrui in ogni secondo delle rispettive quotidianità: a pranzo, a cena, durante il primo (il secondo, il terzo, ecc….) bagnetto del figlio, la rimpatriata tra amici, la gita al mare (senza dimenticare quella in montagna), un pomeriggio tedioso trascorso a casa, un altro passato per negozi… e chi più ne ha più ne metta! Un’esigenza di mostrarsi che sinceramente fatico a comprendere, ma che lo smartphone ha amplificato e portato agli estremi avvalendosi anche di applicazioni che semplificano l’egocentrica passione di mettersi in vetrina, prima fra tutti quella di Facebook. La presenza straripante, quasi invadente, del cellulare in ogni atto della vita quotidiana ancora mi stupisce. Comprendo che stare al passo coi tempi significa non farsi trovare disarmati nei confronti delle novità, soprattutto se sono tecnologiche, però allo stesso tempo non posso che rimanere scettico quando prendo atto che non si interagisce più in maniera ‘tradizionale’. Mi ritrovo infatti a discutere con gente quasi più attenta al traffico di messaggi che ha sul cellulare piuttosto che a quello di cui stiamo parlando, vedo ragazzi che si estraniano dal resto della famiglia persino all’ora di cena per inseguire amicizie da social network tramite il proprio smartphone, addirittura non si esce di casa senza il telefono dietro! In tutta franchezza sono abbastanza scettico innanzi a tanta tecnologia che si intromette con prepotenza nei più semplici rapporti sociali! Non so se sia un bene o un male questa epidemia virale. Quel che è certo è che ormai nessuno (o quasi) è gettato nel mondo senza il suo fedele amico in tasca. Il nostro compagno di vita, il cellulare, ormai è al nostro fianco fin dalla più tenera età e arricchisce di esperienze, positive o meno, il nostro quotidiano.

Di acqua sotto i ponti ne è passata da quel lontano 1973 e di telefoni portatili, grandi, piccoli, piccolissimi e di nuovo grandi, ne abbiamo visti e probabilmente ancora ne vedremo. Sempre più belli, più funzionali, ricchi di applicazioni. E continueremo così a riservare per questi aggeggi un posto speciale nelle nostre vite, quel posto dedicato a uno strumento senza il quale la nostra connessione col mondo rischia di cadere.

Il sociologo canadese Marshall McLuhan, che ha fatto della comunicazione il fulcro dei propri studi, metteva però in guardia da un simile cieco affidamento alla tecnologia. “La tecnologia è un invisibile tiranno che porta i suoi effetti distruttivi nei più profondi recessi della psiche, più di quanto possano fare i denti a sciabola della tigre o dell'orso”, scriveva McLuhan. L’auspicio è quindi che, pur vivendo in totale simbiosi col nostro cellulare, possiamo ricordarci che si tratta solo di uno strumento, non del tiranno delle nostre esistenze.
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