27 giugno 2016

I NOSTRI FIGLI IN TERRE STRANIERE

A cura di Antonio Gigliotti

Cari amici e colleghi,
qualche giorno fa sono stato a Londra. Credo che non avrei potuto scegliere giorni più propizi. Si è appena votato per la Brexit e nella città inglese il clima mi è sembrato strano, a tratti surreale. Forse perché la maggioranza dei cittadini del Regno Unito ha espresso il suo voto al referendum: fuori dall’Europa.
Non voglio parlare con voi adesso degli scenari foschi che secondo me questa avventata decisione porterà nel panorama mondiale, preferisco soffermarmi sui problemi di tutti i giorni che ho visto a Londra. Una città che vive sulla scia del suo splendore e che è diventata la casa di tanti ragazzi italiani. Girando alcuni locali per mangiare ho trovato molti nostri giovani lavorare lì. Non negli uffici della city o per fare i manager ma a sgobbare nei ristoranti, a fare i camerieri nei bar per poche sterline, a fare i pizzaioli, le pulizie negli alberghi. Non sto dunque parlando di lavori comodi.
Vedere questi ragazzi ha risvegliato in me sentimenti contrastanti.
Da un lato una grande soddisfazione perché questi giovani portano alto il vessillo del nostro Paese, quello che non vive di bamboccioni e ruberie, che non si adagia sull’alienazione e la vita facile. Dall’altro lato però mi ha assalito una grande amarezza: perché trasferirsi in una città straniera, lasciare la propria terra e gli affetti per fare lavori umili e arrangiarsi tra ostacoli e difficoltà? La mia deformazione professionale mi ha spinto a fare a molti di loro queste domande. La risposta quasi unanime è stata: qui a Londra abbiamo trovato ciò che in Italia non c’è più. La meritocrazia ad esempio che da noi ormai esiste soltanto nei sogni oppure nei salotti televisivi tra ipocrisie e annunci. A Londra se ti impegni e lavori sodo ce la puoi fare. E non perché sei amico, figlio, cugino di un potente, ma semplicemente perché il tuo lavoro viene premiato. Non siamo più abituati a sentire parole come queste ma a volte è necessario ristabilire la verità.
Mi sono sentito sconfitto, fallito. E’ demerito di tutti se i nostri giovani scappano in un altro paese. Parlo da cittadino deluso ma anche da padre che sa cosa vuol dire avere i propri figli spesso lontani. Dovremmo viaggiare più spesso per capire che il mondo non finisce tra le scartoffie dei burocrati che affollano i nostri ministeri, tra i politici che si perdono nei corridoi della corruzione, pagati con stipendi che gridano vendetta se guardano a chi ,dopo una vita di lavoro, va avanti con neanche 500 euro al mese di pensione.
L’Italia vive una crisi profonda ormai da anni: disoccupazione dilagante, fisco opprimente, scandali all’ordine del giorno. E la nostra politica? Si concentra su una riforma costituzionale che ci tiene inchiodati a temi che certo non troveranno un lavoro al 37,9% di giovani senza lavoro, secondo gli ultimi dati Eurostat. E non rilanceranno certo la nostra stanca economia. Sto scrivendo questo editoriale mentre rientro in italia e lascio i figli della nostra terra in un Paese straniero che da qualche giorno lo è ancora di più perché ha lasciato un’Europa figlia di burocrati e lobby, lontana dai cittadini per i quali è totalmente sconosciuta. Io credo che sia proprio adesso il momento di resistere, di fare in modo che l’Europa unita non sia soltanto un’utopia. Un grande poeta della tragedia greca, Eschilo, diceva: non vi è riparo dallo sterminio per l’uomo che imbaldanzito dalle ricchezze ha diroccato il grande altare della Giustizia. Non dovremmo dimenticarlo mai.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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