Il principio di indipendenza e l’obiettività del revisore sono da sempre requisiti centrali e basilari per la valutazione e gestione di un incarico di revisione legale; requisiti funzionali e determinanti ai fini del corretto esercizio dello scetticismo professionale che è alla base dell’approccio dell’attività di audit già in fase preliminare di valutazione di accettazione dell’incarico.
Nell’ambito di un processo di revisione il principio di indipendenza del revisore, inteso come soggetto incaricato alla gestione dell’attività in tutte le sue fasi ed in tutti gli aspetti ad esse correlate, rappresenta un fattore implicito ed irrinunciabile dell’agire etico: l’autonomia del revisore (professionista esterno) e più in generale la sua integrità, rappresentano presupposti indispensabili affinché il pubblico, terzo lettore e fruitore delle informazioni finanziarie del bilancio oggetto di audit, associ valore all’opera del revisore che si esprime per il tramite del giudizio professionale. In altri termini, tale requisito va inteso come aspetto cruciale affinché l’attività di revisione assolva il proprio scopo primario di mitigare le asimmetrie informative tra management e stekeolders.
Recentissimi accadimenti che hanno riguardato posizioni specifiche assunte da società di revisione internazionali relativamente ad una separazione dei servizi professionali offerti tra l’attività di audit e le altre attività di consulenza (advisory e tax&legal), oltre ad un recente pronunciamento (Decreto del 16 giugno 2022) da parte del Tribunale di Milano proprio su aspetti strettamente correlati al tema dell’indipendenza a seguito di un ricorso presentato da un Presidente del Collegio Sindacale con funzioni di controllo contabile (il revisore), di una Srl fallita, per l’ammissione del proprio credito nel passivo della società, non riconosciuto dal curatore per problemi di conflittualità tra il revisore e lo studio professionale incaricato della consulenza fiscale e amministrativa della fallita, inducono a prestare una sempre maggiore attenzione relativamente alle verifiche da gestire rispetto all’esistenza di possibili situazioni di conflittualità, tra chi controlla e chi deve essere controllato.
Special modo in un periodo come quello attuale caratterizzato da turbolenze ed incertezze che si traducono in molti casi in difficoltà delle imprese. Da un punto di vista formale, si richiama il D.lgs. 39/2010, il cui art. 10 par.1 “Indipendenza e obiettività”, afferma: “Il revisore legale e la società di revisione legale che effettuano la revisione legale dei conti di una società devono essere indipendenti da questa e non devono essere in alcun modo coinvolti nel suo processo decisionale.” In aggiunta, il comma 1-ter stabilisce che “Il revisore legale o la società di revisione legale deve adottare tutte le misure ragionevoli per garantire che la sua indipendenza non sia influenzata da alcun conflitto di interessi, anche soltanto potenziale, o da relazioni d’affari o di altro genere, dirette o indirette, riguardanti il revisore legale o la società di revisione legale e, laddove applicabile, la sua rete, i membri dei suoi organi di amministrazione, i suoi dirigenti, i suoi revisori, i suoi dipendenti, qualsiasi persona fisica i cui servizi sono messi a disposizione o sono sotto il controllo del revisore legale o della società di revisione o qualsiasi persona direttamente o indirettamente collegata).
Riferimenti normativi che sono stati alla base del giudizio espresso dal Tribunale di Milano nel decreto già sopra citato. Infatti, nel ricorso cui i giudici sono stati chiamati ad esprimersi è emerso che, poiché lo studio di consulenza che forniva servizi continuativi di natura amministrativa e fiscale alla società Srl fallita risultava posseduto per il 95% dal figlio del Presidente del collegio sindacale incaricato della revisione, emergeva una condizione di conflitto di interesse per il ruolo che in qualità di sindaco rivestiva il professionista rispetto, in particolare, ai controlli sul bilancio che lo stesso era tenuto a dover svolgere.
Una conflittualità quindi chiara e pertanto una indipendenza che, secondo i giudici (e anche a parere di chi scrive) non poteva essere rispettata dal sindaco/revisore durante le attività di verifica del bilancio, dovendosi interfacciare e confrontare con lo studio del figlio per le verifiche necessarie sul bilancio. Sostanzialmente questa la posizione dei giudici, sulla base di un precedente riferimento giuridico espresso proprio in tema di indipendenza (Cass. Civ. n. 14919/19), è stata alla base del rigetto del ricorso presentato dal Presidente del Collegio sindacale, ritenendo nulla la nomina, accettando, pertanto, le motivazioni del curatore che non aveva ritenuto di insinuare nel passivo della Srl fallita il credito del sindaco-revisore maturato nel periodo di incarico. Nello specifico, le motivazioni del curatore sono state: “Risulterebbe che lo stesso (revisore) abbia costantemente mantenuto, a mezzo dell’omonimo studio consulente della fallita, un rapporto continuativo di consulenza e/o prestazione d’opera retribuita, ovvero (…) altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettevano l’indipendenza (cfr. art. 2399 lett. c.c., art. 10 D.lgs. 39/2010 e Codice Etico Revisori)”. La posizione del Tribunale di Milano è sicuramente molto forte e fonda le basi sui richiamati riferimenti normativi espressi dal D.lgs. 39/2010 in materia di indipendenza.
Ma apre anche ad una riflessione di tipo etico. Il CNDCEC nel documento emanato nel 2004, intitolato “L’indipendenza del sindaco e/o del revisore contabile”, sottolineava che “l’indipendenza è sostanzialmente uno stato mentale, un requisito etico soggettivo che non può essere agevolmente messo alla prova o assoggettato a verifica esterna”. I revisori sono soggetti a un ordinamento speciale che si fonda sia su norme giuridiche (in primis in Italia il D.lgs. 39/2010) sia su principi etico – professionali, diretti a garantire l’indipendenza e autonomia di giudizio oltreché la competenza e la qualificazione professionale.
Da un lato vi è un concetto di indipendenza formale, ossia il rispetto delle regole poste a presidio di tale requisito; dall’altro un concetto di indipendenza sostanziale che si identifica nello stato mentale del revisore. Non va poi escluso un ulteriore concetto di indipendenza, la cosiddetta indipendenza in apparenza, ossia la percezione assunta da parte del pubblico (generalmente, fattispecie più comunemente ritenute potenzialmente lesive dell’indipendenza del revisore, possono emergere da: relazioni finanziarie; relazioni commerciali; rapporti di lavoro; funzioni direttive e di controllo; rapporti familiari e personali; prestazioni di non audit services; compensi; causa in corso; durata dell’incarico).
In conclusione, l’intervento dei giudici del Tribunale di Milano pone all’attenzione un aspetto centrale della revisione legale. Non sono state accolte le giustificazioni del sindaco-revisore il quale ha provato a motivare l’assenza di conflittualità e quindi il diritto ad ottenere il compenso per l’attività svolta “ritenendo di non aver alcuna partecipazione, funzione o ruolo nello Studio di cui per contro risulta associato il figlio bensì’ esclusivamente il domicilio professionale, tant’è vero che risulta esonerato dal pagamento dell’IRAP”.
E non va assolutamente sottovalutato quanto il ricoprire il ruolo sia di sindaco che di revisore abbia impattato nella decisione dei giudici. Ebbene, la posizione e il giudizio del Tribunale di Milano devono essere di riferimento ulteriore affinché un revisore nel valutare la propria indipendenza estenda l’area di osservazione a tutti i rapporti e relazioni che possono costituire minacce per l’indipendenza, compresi quelli riconducibili ad altri servizi offerti nell’ambito del network di riferimento del revisore. Il revisore (sia società di revisione o persona fisica) è tenuto a valutare tutte le circostanze che, all’interno del proprio network di riferimento, possano interferire con l’indipendenza.
Sempre da un punto di vista etico e deontologico, non va assolutamente mai dimenticato l’atteggiamento di scetticismo professionale che deve essere costantemente mantenuto nel corso dell’intero processo di revisione per evitare il rischio di non considerare adeguatamente circostanze dubbie, di compiere eccessive generalizzazioni nella formulazione delle conclusioni sul lavoro svolto di revisione, nonché di utilizzare errate asserzioni nella determinazione della natura, della tempistica e delle estensioni delle procedure di revisione e nella valutazione dei risultati.