11 giugno 2021

Digital tax nazionale: gli Stati Uniti minacciano un aumento dei dazi del 25% sull’ export italiano

La digital tax , introdotta dalla legge di Bilancio 2019 e modificata dalla Manovra 2020, consiste in un'aliquota del 3% sull'ammontare dei ricavi tassabili realizzati nel corso dell'anno solare. Gli Stati Uniti rendono noto il proprio dissenso e potrebbero imporre un incremento dei dazi pari al 25% sull’export italiano. Al momento, tali tariffe aggiuntive, sospese per un periodo temporale di sei mesi, risultano essere, tuttavia, un’ipotesi poco plausibile.

In un momento alquanto delicato, il G7 è favorevole ad una tassa minima globale di almeno il 15%, e tra l’altro, l’imposta italiana equivalente al 3% dei ricavi, determinati da alcuni servizi digitali ha avuto delle conseguenze positive.

La digital tax potrebbe comportare delle conseguenze significative sulle esportazioni italiane negli Stati Uniti, considerando il motto “Buy American”, promosso dal governo Trump e perseguito da Biden, con l’obiettivo di favorire la politica commerciale americana.

Lucia Iannuzzi, esperta in materia doganale e internazionalizzazione, founder e managing partner delle società di consulenza C-TRADE e OVERY, nonché membro attivo della Commissione Dogane& Trade Facilitation di ICC, ha proposto un’analisi dettagliata.

Innanzitutto, evidenzia che il 2 giugno, gli Stati Uniti hanno esplicato di aver imposto delle tariffe aggiuntive del 25% su oltre 2 miliardi di dollari di importazioni da sei Paesi che attuano tasse sui servizi digitali. Dopo breve tempo, però, il governo americano ha sospeso i dazi per 180 giorni, in modo da garantire il proseguimento delle trattative fiscali internazionali. Inoltre, l’ufficio del rappresentante commerciale degli Stati Uniti, ha confermato di aver approvato tali tariffe per le merci provenienti da Gran Bretagna, Italia, Spagna, Turchia, India e Austria, al seguito di un’indagine della “Sezione 301”. In termini numerici, si tratta di 386 milioni di dollari di merci dall’Italia, gravate da imposte aggiuntive.

Secondo l’esperta, gli Stati Uniti, hanno deciso di attuare tali misure per tutelare il mercato interno. In tal modo, ne subirebbero le conseguenze i settori più forti di ogni Paese, in Italia, per esempio, la misura interesserebbe il settore del caviale, quello del Made in Italy, tra cui borse e fashion, e sulle lenti come per esempio Luxottica. In Austria, invece, ne risentirebbero i settori inerenti alla ceramica e agli oggetti di vetro, mentre in India i crostacei, il riso, il segno, il sughero e le perle ed in Turchia i tappeti.

Tuttavia, la misura- prosegue Iannuzzi- difficilmente proseguirà, considerando l’accordo stipulato sulla tassa minima in G7. Nonostante le premesse, però, lo scenario per l’export italiano negli Stati Uniti, potrebbe inclinarsi. Si precisa, infatti, che il mercato americano è molto importante per il Made in Italy, poiché affermare il prodotto nel territorio americano, permette di ampliare il terreno di vendita, soprattutto per il tessuto medio-piccolo. Considerando le premesse, dunque, un ulteriore 25% di dazi non gioverebbe alle imprese italiane. D’altra parte, il sistema statunitense, è anomalo, in quanto tassa per prodotto e per azienda.

Tra l’altro, dall’analisi emerge quanto sia fondamentale una politica interna che gestisca la produzione interna delle piccole e medie imprese per permettere l’esportazione dei prodotti Made in Italy. Per quanto concerne l’Italia, si evidenzia una carenza di infrastrutture, e al contempo, dei costi elevati di manodopera e trasporti, motivo per cui è costretta ad acquistare materie prime altrove e a delocalizzare, in quanto risulta più conveniente.

Attraverso il Pnrr, si potrebbe incentivare la produzione nazionale, poiché il Piano prevede la gestione della logistica e la supply chain anche a livello nazionale, in modo da incentivare la produzione interna. D’altra parte, però, l’Unione Europea, sta adottando delle serratissime politiche commerciali, che limitano la ripartenza delle imprese italiane. Infatti, se l’Ue tassa l’alluminio proveniente dalla Cina o da altri Paesi con un +48%, per favorire una produzione interna che non è equivalente alla domanda, è chiaro che non è producente.

In conclusione, l’esperta, sottolinea quanto sia importante o produrre internamente con una politica adeguata, oppure favorire la globalizzazione in modo da semplificare l’entrata nel mercato estero e garantire, di conseguenza, margini di profitto ampio alle imprese, soprattutto italiane, impegnate nell’export.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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